Il miracolo c’è stato. Anzi, i miracoli ci sono stati ma li ha compiuti Buffon con un paio di interventi decisivi ed altrettante volte i pali della porta bianconera a impedire che il Napoli realizzasse durante i novantaquattro minuti di gioco il gol partita e non ai calci di rigore, per aggiudicarsi la sua sesta Coppa Italia. Orgoglioso, irriducibile, infinito Napoli. Gattuso ed i suoi ragazzi hanno riacceso l’entusiasmo e il sogno del popolo azzurro sceso in massa a festeggiare una vittoria strameritata, nonostante distanziamento e divieto di assembramenti imposti dal Covid-19. Non accadeva da anni e la “voglia” di festa del popolo azzurro è stata più forte di tutto.
Un altro colpo griffato da un gruppo che anche dopo due mesi di distanza s’è ritrovato coeso, più compatto e convinto di prima dello stop, grazie al lavoro soprattutto mentale del suo allenatore oltre che di quello tecnico, atletico e tattico dell’intero staff. Sembrava una di quelle imprese quasi impossibili battere la Juventus in finale di Coppa Italia, per molti, anche addetti ai lavori, un miraggio, invece la notte dell’Olimpico s’è tinta d’azzurro trasformandosi in una realtà che può dare la spinta decisa in campionato e, perché no, anche in Champions. Ma questo Napoli c’è in pieno. In tutto e per tutto. Nel cuore, nelle gambe, nella testa e nella convinzione di non arrendersi mai. Dopo l’Inter è toccato alla Juve di Sarri deporre le armi. I rigori hanno fatto solo giustizia di quello che il campo ha detto man mano che passavano i minuti. Napoli deciso, più deciso, concreto e convinto di una Juve che aveva tenuto il pallino del gioco per buona parte del primo tempo ma cercando un possesso palla rivelatosi sterile che non l’ha mai portata a creare insidie vere a Meret che alla fine, ha messo la sua firma ai rigori nell’impresa degli azzurri.
Serviva una notte così per allontanare le ansie, i dubbi e le ultime perplessità, in verità di pochi nostalgici e critici da bar, su Gattuso allenatore. E il tecnico di Corigliano, concedendo il bis dopo le gare di Coppa contro Lazio e Inter s’è preso in modo definitivo il Napoli del prossimo futuro ma anche la Napoli città.
Il suo calcio è sintesi perfetta di Helenio Herrera, Trapattoni e del Sarrismo in chiave post- moderna e assolutamente italiana. Si parte dalla difesa, arcigna, asfissiante, eppure mobilissima nelle sue due linee strettissime tra centrocampisti e difensori, per togliere inesorabilmente profondità centrale, spazi sulle corsie laterali e possibilità di cross facili, per arrivare allo sviluppo del gioco, più verticale che orizzontale, una volta rubata palla e tempo e spazio agli avversari che… ”muoiono” stremati per asfissia da raddoppi costanti e per l’incapacità di superare un muro elastico che si piega a seconda delle giocate avversarie.
Non è una ragnatela quella con cui Gattuso manda in crisi gli avversari, mi ricorda piuttosto un film cult del ’97, “Cube”, diretto da Vincenzo Natali, nel quale un gruppo di persone intrappolate in una struttura a forma cubica cercavano invano una via d’uscita da questa struttura che si muoveva di continuo creando spesso trappole mortali. La struttura… creata dal “regista” Gattuso sembra non dare scampo. Neanche alla Juve. Nel secondo tempo la freschezza atletica, l’idea di calcio alternativo eppure pragmatico del Napoli è venuta fuori con la prepotenza e la voglia dei suoi uomini che hanno iniziato a far giro palla con sicurezza e maggiore continuità, costringendo i bianconeri a non scoprirsi come del resto avevano già fatto nel primo tempo quando avevano prudentemente evitato un pressing troppo alto sui difensori azzurri che, senza strafare, riuscivano quasi sempre a far partire dal basso la manovra anche se poi commettevano errori di misura nel servire i centrocampisti consentendo il recupero palla agli uomini di Sarri.
Nella ripresa anche le sostituzioni hanno dato ragione a Gattuso e certificato la migliore predisposizione tattica e mentale del Napoli che ha più volte costretto Buffon agli straordinari anche con l’aiuto dei legni. Un Buffon che è stato pienamente all’altezza della sua fama ma che ai calci di rigore s’è inchinato davanti ad un Meret di ghiaccio che ha dato il La al trionfo azzurro consumatosi con il rigore decisivo trasformato da Milik, juventino in pectore. Ma è la legge del calcio, la strana legge del calcio che non smentisce mai sé stesso. Possiamo dire che vedendo il Napoli di Gattuso ci riprendiamo l’essenza del nostro calcio, quel marchio di italianità che non significa catenaccio e basta, che è stato ed è il sigillo che certificato vittorie e trionfi importantissimi.
Non è stata una partita spettacolare, né poteva esserlo vista la posta in palio e la lunga inattività ma il Napoli ha impedito alla Juve di sviluppare quel gioco a uno- due tocchi a grande velocità che vuole Sarri, giocando con la testa. Non ci sono top player in questa squadra, ma i vari Insigne, Mertens, Fabian, Demme con il loro passo, una difesa tosta con un Maksimovic che gioca da leader dando sicurezza a Koulibaly e un gruppo compatto che può solo rammaricarsi per la mancata vittoria nei 94’ di gioco dimostrano che la squadra c’è e può giocarsela a testa alta contro chiunque. Adesso servono le controprove e le conferme in campionato contro squadre meno blasonate ma più toste e decise a vender cara la pelle. A cominciare da martedì contro il sorprendente Verona di Jovetic. La vittoria di ieri in Coppa Italia è stata e sarà comunque da ricordare. Per tantissimi motivi e non solo calcistici. Una notte che tornerà buona per tutti, sin da subito, purché ADL si convinca che questo Napoli è solo da migliorare e non da rifondare. Gattuso glielo sta dimostrando. Lo ascolti con umiltà. Quell’umiltà che accoppiata all’onestà intellettuale e alle capacità stanno facendo di Rino “Ringhio” Gattuso un vincente. E allora: Yes, we can!