Home Cultura e Arte Cucina La gastronomia nell’età del Viceregno. Cucina e riflessioni culinarie nel 1600

La gastronomia nell’età del Viceregno. Cucina e riflessioni culinarie nel 1600

Tratto da “La minestra è maritata, ritratto storico della gastronomia meridionale (Ed. Magenes 2019) di Gennaro Avano

Nei primi anni del 1500, dopo la morte improvvisa di Ferrante II (Ferrandino) e la deposizione di Federico I di Aragona a opera degli alleati Luigi XII di Francia e Ferdinando il Cattolico di Spagna si concluse l’autonomia del Regno di Napoli.  L’esito della nuova condizione fu che, per motivi diversi e di ben diversa gravità, sia la classe popolare che il patriziato filo-aragonese si sentirono straniati e distanti da un ordinamento statale estraneo. Fin dai primi anni del declassamento a provincia e del frazionamento tra Francia e Spagna, nel Meridione si avvertì una brusca decadenza della qualità della vita che, sul piano alimentare, rappresentò per le classi popolari il passaggio da una condizione di accettabile modestia a una di difficile sopravvivenza. La plebe di Napoli in particolare, sotto il governo francese soffrì l’aumento esponenziale dei costi delle derrate e il conseguente venir meno di una disponibilità alimentare fino ad allora goduta. Il malcontento fu non meno sentito nelle classi aristocratiche che, private di qualsiasi incarico pubblico e peso politico, non poterono far altro che esprimere risentimento e insofferenza solo in polemiche di carattere culturale che toccarono anche la questione dello stravolgimento dei costumi gastronomici locali. Su questo piano, per esempio, il confronto tra la soccombente gastronomia meridionale e i sapori stranieri fu avvertito come imposizione di uno stile bizzarro, rispetto al quale il buon gusto maturato in trecento anni di influenze illuminate (arabo-normanna, sveva, angioina) se ne sentiva offeso.

Già nel 1507 però tra i due regni che si erano divisi le corone di Napoli e Sicilia scoppiò il conflitto per divergenze sui confini. Dalla guerra che ne conseguì la Francia, sconfitta dalla Spagna, perse l’intero territorio. Il Regno di Napoli  declassato da allora a viceregno di Ferdinando il Cattolico fu governato da Consalvo di Cordova passando, dal 1516, nei dominii di Carlo V sotto la guida del vicerè don Raimondo di Cardona. Se col governo dei primi sovrani qualche attenzione vi fu, i loro successori furono invece interessati soltanto allo sfruttamento economico e produssero una situazione alimentare tanto grave da determinare ben due cruente sollevazioni popolari a Napoli, 1584 e 1647, e una a Messina nel 1674. Se dunque la sufficienza alimentare fu “sogno” per le classi meno abbienti, sull’onda dell’irrilevanza politica il declino consolidò perfino nelle classi aristocratiche una storicizzata insoddisfazione che si manifestò in forma di nostalgia per il passato, ovvero per antichi fasti che avevano fatto del Regno la guida gastronomica d’Occidente. Proprio in ragione dell’estinzione dell’antico Stato, e di una mancata presenza della sua voce culturale, va letto – probabilmente – lo “scavalco” epocale della cucina francese su quella italica  grazie all’opera riformatrice del grande cuoco e gastronomo Pierre de La Varenne (Digione 1615-1678), autore nel 1651 del rivoluzionario Le cusinier François.

Nonostante ciò, nei momenti meno tragici di questa cupa stagione storica, grazie alla fervida fantasia delle classi popolari, la cucina del Meridione riuscì ancora a esprimere dei gastrotipi che divennero nel tempo i nuovi baluardi della culinaria territoriale assurgendo, qualche secolo dopo, persino a bandiera della cucina italica. È  questa peraltro l’epoca in cui si diffonde una mensa popolare fatta di orto un motivo per cui i napolitani vennero soprannominati «mangiafoglie». Il mangiar foglie, segno evidente di penuria, diviene però in un contesto culturalmente strutturato concetto degno di menzione e significato filosofico, ecco allora che ne troviamo più d’una menzione ne Il Candelaio del nolano Giordano Bruno come Pignato e Pignato grasso.

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