Home Economia della nostra città Riapriamo le nostre botteghe

Riapriamo le nostre botteghe

di Gianni Lepre

L’esempio di Leonardo: dalla fiction su Rai Uno la strada da seguire per fronteggiare la crisi

Il Leonardo televisivo proposto in prima serata da Rai Uno ha, tra i tanti altri meriti, ricordato a milioni di spettatori la figura di un artista grande, anche se meno conosciuto a livello di massa rispetto ai top player delle nostre arti figurative: Andrea del Verrocchio. A restituirlo alla memoria collettiva, oltre che la bravura di Giancarlo Giannini, è stata l’ambientazione: il clima magico, riprodotto dallo sceneggiato, di una bottega fiorentina del Quattrocento. Nella bottega di Verrocchio, Leonardo impara a disegnare, a modellare la creta, a dipingere, pare anche a fondere il bronzo. Anche il sommo genio, insomma, ha dovuto passare per l’apprendistato. Ma dal racconto emerge anche un vissuto fatto di relazioni gerarchiche e cameratesche, di cordialità laboriosa, di gusto dell’invenzione e tendenziale conflitto con la disciplina. E c’è di più. La bottega è un luogo di socializzazione, una fucina di idee che per osmosi ‘dialoga’ con il tessuto circostante cittadino, uno dei diversi centri propulsivi su cui si fonda il primato delle comunità urbane rispetto a una civiltà che, pure, all’epoca restava marcatamente feudale e contadina.

Facendo un balzo in avanti di quasi sei secoli e venendo ai giorni nostri, tra industria e postindustriale, tecnologia e realtà aumentata, stampanti tridimensionali e intelligenza artificiale, riusciamo, ciò nonostante, a rinvenire alcuni link con l’epoca di Leonardo. L’umanesimo combatte ancora la sua battaglia, non contro l’oscurantismo medievale, bensì contro la massificazione e la robotizzazione della persona. La creatività continua a sviluppare valore aggiunto. E poi, malgrado la crisi dell’artigianato e le politiche miopi che la aggravano con carichi fiscali esorbitanti, a resistere indomita c’è ancora lei: la bottega.
Non ha più la centralità dell’epoca di Leonardo, eppure potrebbe in parte recuperarla. Specie ora che si parla, finalmente con concretezza, di green e sviluppo sostenibile, di rigenerazione urbana e inclusione economica e sociale, oltre che ambientale. Il riconoscimento di Bottega Scuola, per una realtà artigianale, richiede il possesso documentato di una serie di requisiti. Superato questo passaggio burocratico, ma sostanziale (pensiamo ad esempio alla sussistenza di condizioni idonee in termini di sicurezza del lavoro), si possono attivare tirocini formativi e, almeno in teoria, ottenere contributi regionali. Non sempre, peraltro, questo tipo di incentivazione si concretizza e, anche in quel caso, può trattarsi di un sostegno minimo rispetto ai costi gravosi dell’attività formativa. In tal senso, sarebbe importante che si supportasse l’impegno dei maestri artigiani sgravandoli delle spese per la formazione dei loro giovani, oltre che dei contributi per il periodo di apprendistato.
Rilanciare l’apprendistato significa creare tante opportunità di lavoro per giovani che vogliano cimentarsi in ‘mestieri del passato’ che tuttavia hanno ancora un grande futuro, purché si aiutino i maestri artigiani a superare il problema del passaggio generazionale. Le Botteghe Scuola potrebbero quindi essere la sintesi felice di una nuova politica di sviluppo economico e occupazionale.
A Napoli, in particolare, si può fare di più.
Da diversi anni ho lanciato l’idea di attuare un progetto Botteghe Aperte. Potrebbe essere realizzato in un’area storica, nel cuore cittadino, tra gli Orefici e piazza Mercato.
Si tratta di spazi in larga parte da recuperare ancora, dopo che hanno perso alcune funzioni economicamente vitali. Mi riferisco soprattutto alla zona del vecchio Mercato, letteralmente implosa e inevitabilmente degradata dopo che, circa un quarto di secolo orsono, fu abbandonata in massa dai commercianti diretti verso la nuova megastruttura del Centro Ingrosso Sviluppo di Nola, poi arricchita dall’Interporto. Un destino simile, anche se non altrettanto drammatico, ha segnato gli Orefici, dopo l’esodo di tanti maestri dell’oro e del gioiello verso le nuove cittadelle di Marcianise (soprattutto) e di Torre del Greco. Botteghe Aperte, nel progetto immaginato, è un luogo d’incontro dell’arte artigianale tipica del made in Naples. Dall’oreficeria ai liutai, dai pastorai ai ceramisti, e altre espressioni assimilabili di un genius loci millenario. In queste botteghe aperte al pubblico, a pochi metri in linea d’aria da un porto finalmente restituito alla città, con l’abbattimento di quella cesura che lo ha separato per oltre un secolo dal resto della comunità, i nuovi apprendisti (chissà che tra loro non emerga un Leonardo napoletano!) potrebbero esibire il proprio talento agli occhi di curiosi del luogo e turisti.
Con ricadute anche in termini di marketing territoriale. Sarebbe esaltata la tecnica manuale alla base di monili, preziosi e tante altre produzioni di alta, spesso altissima qualità, realizzate dai maestri artigiani partenopei e dai loro allievi. Vi sarebbe, inoltre, un effetto moltiplicatore in termini di promozione, insieme all’arte, dell’immagine di una Napoli centro del mondo, metropoli capace di reinventarsi bottegaia nel mentre si fa polo internazionale della formazione digitale a San Giovanni a Teduccio, primeggia nella cultura e nell’industria dello spettacolo, si prepara a rilanciare come grande snodo produttivo e di traffici, con il decollo della zona economica speciale.

Riproporre il progetto Botteghe Aperte, a distanza di qualche anno, ha due motivazioni essenziali.
Innanzitutto, non è diventato anacronistico! Nell’economia globalizzata si fa sempre più pressante l’esigenza di salvaguardare i valori identitari dei territori, di cui l’artigianato e le sue botteghe costituiscono un mirabile esempio. Il secondo motivo, naturalmente, coincide con la prossima ripresa post-pandemia e con le risorse aggiuntive considerevoli di cui l’Italia potrà disporre con il Piano di ripresa e resilienza. Il progetto può oggi essere inserito tra quelli da supportare per rigenerare un’area urbana da anni in lento, ma non irreversibile, declino.
Chi può, dunque, faccia la prima mossa.
Riaprendo le nostre botteghe.
Per quanto ci riguarda, siamo pronti ad affiancarlo.

Previous articleLa nascita di Neapolis
Next articleLa scoperta del Ceinge sul Covid-19