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La movida con il coltello in tasca

di Cinzia Rosaria Baldi *

Una brutta e pericolosa tendenza in voga tra i giovanissimi della città dal Vomero a Secondigliano

È tornata la movida lo scorso fine settimana in città, i giovani sono tornati in strada nonostante il coprifuoco ed i divieti. Il sabato sera è conciso con l’atteso passaggio di Napoli nella zona gialla e la tradizionale festa di “Sant’Antonio Abate”. Un’usanza che ogni anno provoca l’accensione di falò e fuochi pericolosi, e diventa occasione per l’assembramento di giovani e per lo scatenarsi di episodi teppistici. Non a caso il 17 gennaio i militari dell’Arma sono stati impegnati in varie zone della città e tra i tanti i fermati, ci sono vari giovani denunciati “per porto abusivo di arma da taglio”.

 

Il ritorno della movida del sabato sera ripropone il problema del comportamento violento dei giovani e l’aspetto sempre più diffuso di girare armati di coltello.
Già nel 2004 l’Eurispes in un’indagine sulla percezione della legalità e della sicurezza tra i cittadini partenopei riportava che il 67,9% dei napoletani ritengono molto diffusa tra i giovani l’abitudine a portare il coltello. Da allora il fenomeno è cresciuto in tutt’Italia. Si tratta di una larga fetta di adolescenti che vivono un’emarginazione sociale, una povertà educativa; adolescenti afflitti da un vuoto valoriale, che sfoderano un coltello pronto all’uso al minimo contrasto con qualcuno, scimmiottando Gomorra. Una pratica molto pericolosa, che trasforma spesso banali liti in gravi ferimenti, o peggio. La condotta aggressiva spesso viene assimilata proprio in famiglia, emulando gli adulti, che già vivono ai margini della legalità. L’ambiente familiare disgregato economicamente e socialmente innesca nei figli comportamenti aggressivi e violenti. Inoltre chi appartiene a famiglie svantaggiate può delinquere come reazione di fronte alla difficoltà ad essere accettati dalla società.

Ma la diffusione di coltelli ed altre armi trai giovani è trasversale ai contesti sociali e familiari, dal Vomero a Secondigliano, a Ponticelli, dai quartieri bene, all’hinterland delle principali città italiane. I comportamenti improntati alla prepotenza e i casi di criminalità sono in aumento anche in famiglie dalle condizioni socio-economiche ordinarie dopo divorzi, separazioni, lutti, o in quelle dove l’educazione è asfissiante, oppure basata su sensi di colpa, denigrazione, derisione, coercizione e punizioni fisiche. Stesso dicasi per un permissivismo eccessivo, che non ponendo limiti al comportamento aggressivo del bambino verso i fratelli e i coetanei o verso gli stessi adulti, crea le precondizioni per lo sviluppo di condotte aggressive, infatti, l’eccesso di permissività può determinare una carente capacità di controllo e, quindi, il reagire in maniera anche impulsivo-aggressiva (Olweus, 1993). In altri casi è la disattenzione dei genitori, impegnati nel lavoro, che lascia i giovani in balia di se stessi, subissati da modelli televisivi e messaggi dei social che esaltano la violenza e la criminalità, facendo apparire il coltello come lo strumento che crea un senso di potenza e audacia in chi lo porta con sé. Tenere un coltello in tasca è oggi per molti ragazzi italiani una questione di moda, o anche un’ illusoria forma di difesa.
Quali sono, quindi, i principali fattori di rischio?
– una comunicazione familiare disfunzionale;
– una abituale esposizione a liti familiari (soprattutto se violente);
– uno status socio economico familiare basso;
– uno scarso controllo delle emozioni;
– una spiccata impulsività e scarica motoria della rabbia;
– il crescere con genitori la cui autorità non viene riconosciuta.

I progetti educativi e di supporto psicologico sono allo stato ancora pochi, ma molto si può fare iniziando dall’interno della famiglia, se i genitori prendono maggiore consapevolezza di un fenomeno che può riguardarci tutti.

* psicologa età evolutiva

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