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Il giorno del ricordo

Foibe: quando Napoli accolse i profughi nel bosco reale di Capodimonte

Due settimane fa s’è celebrato il “giorno della memoria” per ricordare a livello internazionale gli orrori dell’Olocausto (Shoah) cioè della maniacale scientifica sistematica “macchina di morte” della Germania nazista che tra il 1938 e il 1945 sterminò milioni di ebrei, zingari, disabili fisici o mentali, omosessuali, testimoni di Geova e “diversi” di ogni genere (per “tutelare la razza” ariana da ciò che quel folle di Hitler riteneva “inferiore, deviante, inquinante”) nonché gli oppositori del regime.

Mercoledì scorso invece è stato il “giorno del ricordo”, una solennità civile nazionale istituita nel 2004 per ricomporre una pagina di memoria negata, assente nei libri di storia… Quella delle “foibe” e dell’esodo giuliano-dalmata (1943-1947) nell’ambito della complessa vicenda dei confini orientali dell’Italia, cioè tra il Friuli e l’allora Jugoslavia.Un pezzo di storia ancora da indagare, al punto che non proprio tutti gli insegnanti sono in grado di rispondere alle curiosità degli alunni che in questi giorni hanno udito qualche accenno alla TV e vorrebbero saperne di più…
In quei territori di confine che durante l’ultima guerra (1941) erano amministrati dagli italiani, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 si scatenò un’ondata di barbara violenza e vendetta proprio contro gli italiani – ritenuti un ostacolo alle strategie del leader jugoslavo Tito – che furono massacrati a migliaia dai partigiani comunisti (insieme a sloveni e croati anticomunisti). Molte delle vittime venivano fucilate sull’orlo delle “foibe”, cavità carsiche profondissime; altri prigionieri venivano gettati nei fossi ancora vivi ma legati a cadaveri…
Migliaia di famiglie dall’Istria, da Fiume, dalla Dalmazia, furono costrette a fuggire da quell’orrore abbandonando tutto (circa 350mila persone). La maggior parte si stabilirono nel Friuli per ovvii motivi di vicinanza, poi alcune si spostarono verso Sud; altre emigrarono all’estero (a Napoli tra gli altri arrivò una piccolissima Laura Antonelli che poi con Alida Valli, Sylvia Koscina e Femi Benussi avrebbe costituito un quartetto di bellissime attrici istriane).

Dei 109 campi profughi che furono predisposti dal governo italiano, la Campania ne ospitò tre: il primo ad Aversa; gli altri a Napoli, uno alla Canzanella (Fuorigrotta) e l’altro nel Bosco di Capodimonte (luogo protetto da eventuali malintenzionati, avendo gli accessi sotto controllo). E così circa un migliaio di esuli, suddivisi in una trentina di famiglie e poi ridotti stabilmente a 200 persone circa, furono sistemati nel “centro raccolta profughi” del bosco, cioè nelle baracche allestite dai soldati alleati durante l’occupazione… I profughi non avevano praticamente nulla, né denaro né mobili (e i beni immobili erano stati acquisiti dalla Jugoslavia). Inizialmente a Capodimonte vissero un po’ isolati dall’ambiente circostante. In occasione delle loro festività, si ricostituiva un po’ il clima delle città di origine, con canti e balli e pietanze tradizionali. Gli abitanti della zona erano diffidenti nei confronti dei profughi (considerati erroneamente da qualcuno come nostalgici del regime o come coloro che si erano rifiutati di vivere nel “paradiso socialista” e venivano a togliere il lavoro agli italiani). Si diceva che gli “ospiti” fossero agevolati con l’allacciamento gratuito alle reti idrica ed elettrica e per le procedure in alcuni concorsi pubblici (secondo un testo di Carlo Verde e Sara Cucciolito della Rivista aeronautica Napoli 2018). Lentamente poi si sviluppò l’integrazione. Alcuni dei profughi rimasero a Napoli (dimostrando anche di essere persone di valore, come per esempio una splendida signora che è stata anche dirigente Rai); altri si trasferirono. Il campo fu smantellato nel 1992.
Napoli probabilmente è stata l’unica città di Italia a mettere a disposizione dei profughi il più bel parco pubblico, e per tanto tempo. Per ricordare questa storia il Comune di Napoli il 10 febbraio 2016 fece installare una targa nel bosco di Capodimonte.