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Eduardo De Felice: la maggior parte dei miei brani sono poco idonei per un orecchio distratto

Cantautore partenopeo con un interessante uso della scrittura e con uno sguardo volto per lo più ai temi dell’amore, Eduardo De Felice ha pubblicato lo scorso 19 settembre il suo terzo album in studio “Ai confini dei sogni” per la direzione artistica di Alessandro Innaro. Otto tracce che lo portano apparentemente verso una strada diversa, verso un sound nord europeo mettendo un po’ in secondo piano il suo legame con il cantautorato più puro di Dalla e Battisti. Ma è un cambio solo apparente come ci spiega lui stesso.

Eduardo, per i tuoi precedenti album (È così ed Ordine e disordine), ti sei affidato alla direzione artistica di Gnut, per quest’ultimo album hai scelto Alessandro Innaro. Raccontaci di questo incontro e scelta.

L’incontro è avvenuto grazie a Giuseppe Innaro, il fratello di Alessandro, ingegnere del suono che ho conosciuto durante la realizzazione di “Ordine e disordine”, e con cui si è stretto un legame di amicizia e professionale. Avevo questi brani tra le mani ed una gran voglia di lavorare a qualcosa di nuovo, anche perché il precedente album, pur ottenendo tanti consensi, era stato un po’ frenato dall’uscita in pieno covid, così contattai Giuseppe per esporgli la mia idea e per invitarlo a collaborare. Lui fu subito entusiasta del progetto e, siccome gli spiegai pure che avevo voglia di abbracciare qualcosa di nuovo e, perché no, sperimentare un po’, per non restare ancorato allo stesso mood degli album precedenti, mi fece conoscere suo fratello Alessandro, produttore e polistrumentista, che mi affascinò da subito. Cominciò quindi questa nuova collaborazione e ci tengo a sottolineare che Alessandro è stato bravissimo a capire i miei momenti, i miei dubbi e le mie paure nell’andare completamente verso strade che non conoscevo, ed è riuscito a fondere quelle che sono le mie radici con i suoi riferimenti, senza snaturarmi.

Ai confini dei sogni è un titolo dall’interpretazione piuttosto soggettiva: come ti poni dentro o oltre questo confine?

Il bello è proprio questo, l’interpretazione soggettiva, e quindi universale, dove ognuno insegue i propri sogni, dove ogni brano può essere interpretato dall’ascoltatore a seconda del proprio vissuto e della propria situazione. E in tutto questo c’è poi il messaggio oggettivo, che per l’appunto è l’invito ad inseguirli quei sogni, sempre. In realtà inizialmente tutto il discorso faceva riferimento al brano che dà il titolo all’album in cui si parla di sogni d’amore, ma quando abbiamo dovuto decidere il titolo dell’album ho pensato che questo sarebbe stato quello più appropriato, estendendo così la chiave di lettura a qualsiasi campo. E poi in fondo anche le canzoni sono come tanti sogni.

Ai confini dei sogni un album musicalmente diverso dai precedenti ma l’ultimo singolo pubblicato “Un sorriso nella testa” è l’unico brano dall’imprinting battistiano, è il fil rouge con i tuoi precedenti album. La sensazione è che eri pronto per dare una sterzata al tuo stile ma hai deciso poi di non recidere del tutto questo cordone. Raccontaci…

Un po’ si, sicuramente, è quello che ho raccontato anche prima, dove appunto è stato bravo Alessandro a condurmi per mano verso questi nuovi sentieri e a non andare troppo oltre quando vedeva che non riuscivo a seguirlo, però non sono d’accordo sul fatto che “Un sorriso nella testa” sia l’unico brano dall’imprinting battistiano. Forse è sicuramente quello che nel complesso ricorda di più quel mondo, ma per me anche “Ai confini dei sogni” così come “Dimenticare” o “Lirica onirica” vanno in quella direzione, quest’ultima più verso la produzione del periodo Panella. La bravura di Alessandro è stata proprio quella di creare dei vestiti per queste canzoni che avessero un taglio internazionale, nord europeo, ma che poi in tutte queste si avvertissero comunque gli echi dei miei riferimenti.

Un elemento che ti contraddistingue, è saper giocare con le parole ed un esempio recente è “Lirica Onirica” dove metafore ed assonanze rendono il brano esplosivo ma poco idoneo per un orecchio distratto…

Oserei dire che la maggior parte dei miei brani siano poco idonei per un orecchio distratto, e questo, al giorno d’oggi, è un grande problema per la loro diffusione. Le soddisfazioni infatti arrivano sempre da persone che hanno realmente ascoltato i miei brani, ma oggi sono sempre più rare poiché per la maggior parte la musica è relegata a mero sottofondo mentre si svolgono altre attività. Tornando a “Lirica onirica” sicuramente è il brano dove mi è piaciuto di più giocare con rime ed assonanze, volevo realizzare un testo che fosse musicale anche senza musica. A primo acchito può sembrare un semplice esercizio di stile, ma in realtà questo brano parla dell’amore per una donna e delle sensazioni che questo sentimento smuove in noi.

L’ascoltatore di oggi dedica, come dicevamo prima, più tempo a skippare i brani degli artisti poco noti che a ad ascoltarli realmente. Ha senso pubblicare album per voi che siete piccole gocce nell’oceano?

Un po’ quello di cui parlavo già prima, oltre agli ascolti distratti c’è anche la diffidenza per gli artisti poco noti, che al di là della bellezza o meno del loro brano, vengono quasi snobbati appunto perché non famosi. Ma molto spesso questo meccanismo a mio modo di vedere avviene anche inconsciamente nel pubblico. Inoltre appunto un ulteriore problema viene dalla facilità ad oggi di produrre qualcosa, anche a casa propria, e di metterlo in rete, sulle piattaforme ecc, andando ad intasare un sistema già intasato e facendo sì che appunto diventiamo tante piccole gocce nell’oceano, dove è anche difficile farsi ascoltare e conoscere, non solo dal pubblico ma anche dagli addetti ai lavori. Con questo scenario dovrei dirti che non ha senso pubblicare album, è vero, ma fino a che mi smuove la passione e la voglia di comunicare in questo modo, di scrivere, di comporre, di registrare, di costruire, e fino a che pubblicherò cose che regalano belle sensazioni a chi le ascolta, siano esse anche 10 o 1000, per me avrà sempre senso. Quando mi renderò conto che non ci sarà più quel fuoco vivo, sarò il primo a fermarmi.

Tu sei poco avvezzo ad esibirti live eppure suonare in giro è forse l’unico modo per farsi conoscere. È un cortocircuito ciò che artisticamente vivi, non trovi?

Direi che sicuramente questa cosa un po’ mi penalizza ma non la vedo come un corto circuito. Ci sono tanti motivi che mi spingono a preferire il lavoro in studio alle esibizioni live, pur riconoscendone l’importanza. Ma a questi livelli devi fare tutto da solo e sinceramente, un po’ per pigrizia, un po’ per l’età, un po’ per tante altre cose da incastrare, tra famiglia, turni lavorativi, musicisti disponibili da cercare e contattare, locali da trovare, service, organizzazione dell’evento ecc, tendo a lasciar perdere, consapevole comunque dell’auto penalizzazione che mi prendo. Anche perché purtroppo il gioco non sempre vale la candela, sia in termini economici che di tempo e fatica spesi. L’ho fatto a suo tempo, tra i miei 20 e i 30 anni, quando avevo quell’entusiasmo, la forza, la compagnia giusta e le occasioni per poterlo fare, e mi sono divertito parecchio, ho suonato in tanti posti, con tante persone. Poi però a un certo punto forse sono mancato un po’ troppo dalle scene, dal giro, e questo alla lunga mi ha penalizzato, complice ripeto, anche la mia pigrizia in certe cose. Tornare in certi giri, con un bel po’ di anni sulle spalle in più, non è così semplice ma mai dire mai.

Hai una carriera ventennale alle spalle, da tastierista di un gruppo alle prime demo fino alla pubblicazione dei tuoi album. Com’è cambiato il tuo approccio musicale in questo ventennio?

L’approccio è sempre lo stesso, la musica è la mia passione, una valvola di sfogo, un divertimento, una presenza costante nella mia vita. Oggi sono forse un po’ più stanco, complice anche tutto ciò che ruota intorno al mondo della musica, nel senso che vivo di entusiasmi che mi accendono e di delusioni che mi spengono. Prima invece ero sempre acceso e pronto a combattere. Ecco diciamo che prima ero un po’ più illuso mentre ora sono disilluso. Ma tutto questo soltanto nei confronti dell’industria musicale, dei meccanismi di diffusione e di come oggi molta gente considera la musica, perché quando non si parla di questo ma solo di canzoni, di strumenti, registratori, composizioni, arrangiamenti, allora lì sono sempre quel bambino che sogna e si diverte.

Musica: gioia e dolori, illusione e disillusione. Qual è il tuo bilancio artistico di questo 2024 appena concluso?

Direi che tutto sommato posso essere soddisfatto, anche se tendenzialmente, per come sono caratterialmente, non lo sono del tutto. Sono certamente contento che sia uscito il disco nuovo, sono soddisfatto dell’accoglienza ricevuta, soprattutto in termini di critica, ma ci sono tante cose che sarebbero potute andar meglio, anche in termini di strategie e di maggior coinvolgimento del pubblico. Diciamo che si può fare meglio, alzare l’asticella resta sempre un obiettivo.

https://open.spotify.com/intl-it/artist/7f2CiMrHPJKoIyWTNAEeqa?si=SIcUL9L9RwaGHGQTEGCiEA

https://www.youtube.com/@EduardoDeFelicemusic

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