La lettura di questa settimana riprende il genere della narrativa con un romanzo di formazione scritto da Marcello Kalowski, “La scuola dei giusti nascosti”, pubblicato lo scorso anno dalla casa editrice Besa. Due ragazzine sono le protagoniste che animano la storia, ebrea di modesta condizione una, figlia di un funzionario fascista l’altra. Esse frequentano il medesimo istituto e sono legate da una profonda amicizia, non curandosi del ruolo sociale delle rispettive famiglie. Il loro sodalizio è suggellato da una grande passione per lo studio, e per la scuola, avvertita con reverenziale affetto. E sulla scuola l’autore concentra particolare attenzione, rappresentandola luogo di apprendimento ma anche fucina di conoscenza in senso ampio, capace per natura di educare all’altro da sé. Suggestivi, nello sviluppo della trama, i quadri sociali di una Roma antica, in cui vive da secoli una comunità ebraica costituita da gente modesta e proba, con tradizioni proprie ma integrate nel contesto socio-culturale cittadino. La distinzione, compensata da questa affezione per lo studio, evolve però in uno strappo: l’avvento delle leggi razziali degli anni ‘30 che travolgono ogni certezza. Si innestano allora nella trama gli eventi noti che trasformano rapidamente un luogo, che pare immutabile, nello scenario di una parabola degenerativa sancita legalmente dall’alleanza con Hitler. Con ritmo incalzante la placida Roma diventa il teatro dei feroci rastrellamenti nazisti e vano è il tentativo della figlia del funzionario di salvare l’amica supplicando il padre, incapace di fare alcunché. Lo sviluppo successivo è il vero fulcro della narrazione in cui ancora l’istituzione formativa assurge al ruolo primario di fucina potenziale di giustizia, un vivaio di Tsaddikim, di Giusti, capaci di “vedere” e inibire i semi di follia collettiva. Un libro di notevole qualità narrativa quello di Kalowski il cui valore è implementato dai sensibili spunti di riflessione per i più giovani. “La scuola dei giusti nascosti”, Besa 2020.