In libreria il volume di Paolo Mastromo che ripercorre l’epoca dei progetti e delle scienze meridionali
Un ritorno alla storia rappresenta la lettura di questa settimana. Il saggio I Napoletani che hanno fatto grandi i Borbone è un piacevole libro di Paolo Mastromo, da poco pubblicato per i tipi di Rogiosi, realtà editoriale molto interessante che dichiara di avere per obiettivo l’essere “veicolo della memoria comune”. Dichiarazione assai rilevante di questi tempi, e quantomai necessaria. Mai come ora, infatti, questa memoria si vede attaccata dalla vulgata nordofila che, dopo averci narrato una storia omissiva, ci invita all’ “oblio” o, in alternativa, ad accogliere smentite molto gridate …ma poco sostanziali. Il saggio di Mastromo sembra dunque attagliarsi perfettamente alla progettualità editoriale di farsi “memoria” con un focus appassionato su quella che fu l’età, per eccellenza, dei progetti e delle scienze. L’età dei lumi, quella che malgrado le grezze omissioni, per il Meridione coincide – anche nella sostanza – con l’evo borbonico. Evo che, anche a volerlo ignorare, ci parla attraverso grandi opere che mai più il meridione vide o, quanto meno, mai più vide dall’evo unitario in poi. Il libro rappresenta perciò l’ennesimo tassello per una feconda ricostruzione della verità – per alcuni – scomoda. Talmente scomoda da passare nel giro di pochi anni dalla plumbea indifferenza alla smentita gridata, in pompa magna, dalle grandi testate del Nord. Ma non è che se gridi più forte hai più ragione, pertanto l’onesto, documentato e piacevole lavoro del nostro Mastromo ci educe, ulteriormente, su una stagione che fu di eccellenze in ogni ambito, animata da un numero considerevole di “studiosi, artisti, avvocati, architetti, musicisti, matematici, astronomi, artigiani, imprenditori, medici” come ricorda la nota di presentazione.
Una nota in cui apprendiamo però anche quell’elemento di discrasia col presente: quel numero altissimo “ha affollato Napoli e il Mezzogiorno d’Italia per alcune generazioni”, ovvero, non se n’è dovuto allontanare, come avviene per le eccellenze attuali. Il quadro che ne emerge non è “inatteso”, come vuole la medesima presentazione, rilancia piuttosto i nomi impolverati di giganti come Cotugno, Genovesi, Vico (etc. etc.) che ciascun meridionale dovrebbe conoscere.