Home Cronaca di Napoli e provincia Ucraina: molti no a Zelensky. E Xi andrà da Putin

Ucraina: molti no a Zelensky. E Xi andrà da Putin

Il presidente degli Stati Uniti dice no all’insistente richiesta del presidente Volodymyr Zalensky di 200 aerei da combattimento. Significativo il contemporaneo messaggio di Washington al ministro degli Esteri Serghiei Lavrov in missione al Cairo, dov’è stato preceduto dal segretario di Stato Anthony Blinken, messaggio affidato per la consegna al ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukry: farebbe intravedere possibilità di negoziato sull’Ucraina. Ma dipende da come lo si interpreta: se la condizione è il ritiro dal Donbass o dai confini precedenti dell’Ucraina, Crimea compresa, come darebbe a intendere il segretario della NATO, Jens Stoltemberg, che – in missione in Corea del Sud e ieri in Giappone – ha affermato che bisogna “sconfiggere” la Russia per renderla una buona volta inoffensiva.

Solo il futuro prossimo scioglierà questi dubbi. A fugare quelli sul ruolo di Pechino, c’è il no alle avances americane perché allenti i legami con Mosca: sempre di ieri l’annuncio che Xi Jinping incontrerà Vladimir Putin in primavera. Un summit che segue l’annuncio del nuovo speaker della Camera USA, Kevin McCarty, di recarsi a Taiwan, quasi sulle orme di Nancy Pelosi ma per riaffermare che il nemico dell’Occidente è la Cina e non la Federazione russa. Non a caso, la Camera ora a maggioranza repubblicana ha istituito una nuova “Commissione sulla competizione strategica con la Cina”, per evitare segnatamente infiltrazioni e furti di tecnologia.

Nei governi dei Paesi NATO e di un’altra ventina di nazioni che forniscono armi e munizioni all’Ucraina, crescono diffidenza e preoccupazioni verso l’invio sia di aerei, sia di missili capaci di raggiungere se non superare addirittura la cosiddetta “corta gittata” (mille chilometri), capacità che da difensivi li pongono come offensivi e che potrebbero spingere Mosca ad attuare la sua strategia di difesa militare, col ricorso all’arma atomica nel caso dovessero colpire il territorio della Federazione russa: la madrepatria comprende ormai il suolo della Crimea e delle repubbliche “separatiste” nel Donbass.

E ci sono altri no.  Al rifiuto, ribadito, del presidente ungherese Viktor Orban all’invio di armi e munizioni all’Ucraina, si sono aggiunti quelli dei presidenti della Croazia, Zoran Milanovic, e del Brasile, Luiz Inàcio Lula. Sono dei no che si sommano a quelli dei governi che non hanno aderito alla richiesta di armamenti da parte di Volodymyr Zelensky, e si accompagnano ai no dei Paesi – la stragrande maggioranza del pianeta –  che neppure hanno aderito alle sanzioni contro la Russia. Milanovic è stato chiaro nel grigio panorama dei leader europei: “Sono contrario all’invio di armi letali che prolungano il conflitto. Qual è l’obiettivo? Disintegrare la Russia, cambiarne il governo? Si parla addirittura di fare a pezzi la Russia. È una follia! Qual è lo scopo di questa guerra? Una guerra contro una potenza nucleare che è in guerra in un altro Paese? Esiste un modo convenzionale per sconfiggere un Paese del genere? E chi ne paga il prezzo? L’Europa. L’America paga meno”. La Croazia (con un piede nell’UE),  come l’Ungheria e come la neutrale Austria: le lancette dell’orologio della storia che paiono girare all’indietro.

Lula, da parte sua, si rivela a distanza stellare da certa sinistra nostrana. Ha confermato il pensiero manifestato ai primi dello scorso maggio: il presidente (dal primo gennaio e per la terza volta) del Brasile, in un’intervista al “Time”, mise sul banco degli accusati non solo Vladimir Putin ma anche Zelensky, Biden e i dirigenti dell’Unione Europea per avere, Zelensky, spettacolarizzato il proprio ruolo e impedito un serio negoziato, i leader di USA e UE per aver fomentato il conflitto, e Putin per aver dato fuoco alle polveri. “Non conosco personalmente il presidente dell’Ucraina ma il suo comportamento è strano, sembra essere parte di uno spettacolo – affermò Lula ricordandone indirettamente il passato d’attore – È in televisione mattina, mezzogiorno e sera. È al parlamento del Regno Unito, al parlamento tedesco, al parlamento francese, italiano, come se fosse impegnato in una campagna politica. Dovrebbe essere, invece, al tavolo delle trattative”. Lula, che l’avesse saputo avrebbe citto anche il Festival di San Remo, accusò Zelensky di aver voluto la guerra, in caso contrario “avrebbe negoziato un po’ di più”, infatti “i colloqui sono stati pochissimi” mentre “se si vuole la pace bisogna avere pazienza”. Se i leader ucraino, americano, europei e russo avessero puntato alla pace – aggiunse Lula – “potevano sedersi a un tavolo delle trattative per dieci, quindici, venti giorni, un mese intero, cercando di trovare una soluzione” perché “credo che il dialogo funzioni solo quando viene preso sul serio”. Perciò, “Zelensky è responsabile quanto Putin…in guerra non c’è un solo colpevole: Saddam Hussein era colpevole quanto Bush, perché avrebbe potuto dire ‘puoi venire a controllare e io dimostrerò di non avere armi di distruzione di massa’ e Bush perché mentì al suo popolo. Oggi questo presidente dell’Ucraina avrebbe potuto dire ‘smettiamola di parlare di NATO ed UE ma discutiamone’. E Putin non avrebbe dovuto invadere l’Ucraina, ma la colpa non è soltanto sua. Anche gli Stati Uniti e l’Unione Europea sono responsabili. Qual è stato il motivo dell’invasione dell’Ucraina? La NATO. E allora USA ed UE avrebbero dovuto dire: l’Ucraina non ne entrerà a far parte. E gli europei: ora non è il momento per l’adesione, bisogna aspettare. Avrebbero risolto il problema, invece hanno incoraggiato il confronto sostenendo le aspirazioni dell’Ucraina di aderire ad entrambe, sapendo che questo avrebbe peggiorato le cose”.

 Esemplare fu la sintesi di Sergio Romano quando spiegò la differenza tra le alleanze del passato e quella NATO: prima erano patti – semplifico – di mutuo soccorso in caso d’aggressione, mentre l’Alleanza Atlantica è teoricamente difensiva ma in realtà prevede l’esistenza di un nemico senza soluzione di continuità: ha, infatti, una struttura di complementarietà d’azione militare (mi scuso ancora col lettore per la semplificazione) che non si forma solo nel momento del bisogno, bensì una struttura fissa che deve pretendere un nemico fisso, seppure non sempre lo stesso. Doveva chiudere i battenti in contemporanea, o quasi, con lo scioglimento del Patto di Varsavia. Invece, ha nei fatti oltrepassato addirittura i suoi confini istituzionali… e dai guai che ha combinato in giro (solo negli ultimi vent’anni: Iraq, Libia, Afghanistan con il ritiro più vergognoso dai tempi del Vietnam) i vantaggi finora hanno superato i benefici. Basti pensare alle diverse esercitazioni militari della NATO aperte all’Ucraina nel 2021, di una tempestività raggelante, perché svolte quasi a rispondere alle proteste di Mosca sia per l’avanzata “immotivata” della NATO verso i suoi confini, sia per il rifiuto di Kiev a garantire che non puntava all’adesione all’Alleanza Atlantica (mettendolo per iscritto, dopo il precedente di Gorbaciov che si fidò delle assicurazioni verbali americane nel 1991 a non allargare verso est la NATO). Manovre militari congiunte che posero la pietra tombale su “Protocollo di Minsk” e “Formato Normandia” (del 2014-2015). Manovre che le capitali statunitense ed europee giustificavano come dirette “a intimorire la Russia” ma che, come rilevò con preveggenza la “Washington Post”, avrebbero solo fatto precipitare la situazione.

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