L’intervista. L’avvocato Violetta Lamberti racconta la sua esperienza a tutela dei più deboli
Mercoledì 20 giugno anche a Napoli è stata celebrata la Giornata del rifugiato, che ha visto coinvolti il Comune di Napoli, l’Assessorato al Welfare, l’Assessorato alla Trasparenza e il Centro Europe Direct, per fare il punto sull’attuale situazione di accoglienza e integrazione nel nostro Paese. La questione migranti è sempre più accesa, e di estrema attualità da diverse settimane. A dare il proprio punto di vista è l’avvocato Violetta Lamberti, laureata alla Facoltà di Giurisprudenza della Federico II e specializzata in immigrazione e tutela dei diritti umani.
A Napoli è stata celebrata la Giornata del rifugiato 2018, che valore ha partecipare?
“La partecipazione a questi eventi è sempre importante, non solo come avvocati, ma come cittadini. Oggi, più che in altri giorni, significava scegliere da che parte stare. Iniziative come questa, di valorizzazione dell’accoglienza e dell’integrazione, attualmente hanno un valore particolarmente significativo perché stiamo vivendo un momento storico, non solo in Italia, ma in tutto il mondo, che desta preoccupazione riguardo ai valori di solidarietà. Sono felice che Napoli abbia festeggiato nelle sale del Comune questa ricorrenza e che abbia dato voce alle comunità di migranti presenti sul nostro territorio. In quella sala, insieme ai colleghi, agli operatori del settore, ai migranti, ho respirato po’ di sano ossigeno, mentre, “fuori”, in questi giorni, l’aria è molto inquinata”.
So che lavori a stretto contatto con i migranti, e che ogni giorno ascolti storie terrificanti, che costringono innumerevoli vite umane alla fuga dal proprio paese. Mi racconti alcune testimonianze? C’è una storia che ti ha segnata in modo particolare?
“Di storie che mi hanno segnata ce ne sono milioni e, nel mio lavoro, ogni giorno si tende a tornare a casa con il cuore un po’ appesantito. Tra tutte, ricordo in particolare la storia di un richiedente asilo, un ragazzino del Benin (Stato africano, piccola lingua di terra tra Togo e Nigeria, ndr). Arrivò nel nostro studio un pomeriggio di venerdì sera perché aveva avuto il “negativo” dalla Commissione e si era rivolto a noi per presentare ricorso in Tribunale. Lo feci entrare, forse con fare un po’ sbrigativo, e iniziai a leggere la sua “storia” nel verbale di audizione in Commissione. Aveva raccontato di essere andato via a sedici anni poiché vittima di maltrattamenti in famiglia (comportamenti assimilabili a riduzione in schiavitù) e di essere arrivato in Algeria a soli sedici anni. Privo di documenti, era stato anche lì costretto al lavoro forzato e poi era scappato in Libia e da lì si era ritrovato, appena maggiorenne, solo, in Italia. La sua domanda era stata definita “una vicenda personale” e quindi archiviata nel file “migrante economico” e rigettata. Lui era davanti a me e continuava a sorridermi. Un ragazzino, in tutto e per tutto. Iniziai a fargli domande sul periodo trascorso in Algeria e in Libia e lui, in un italiano discreto, mi raccontò delle torture e delle violenze fisiche e sessuali di cui era stato vittima. Tutto con il sorriso e con gli occhi che gli brillavano per la speranza, credo, di essersi rivolto ad un avvocato. Aveva un quaderno nello zainetto e mi fece vedere gli esercizi che faceva alla scuola di italiano. Ecco, gli occhi e il sorriso di quel ragazzo li porto sempre con me. Penso che gli angeli abbiamo il suo volto, quello di un essere umano che continua a sorridere, nonostante tutto”.
Cosa pensi della posizione che ha assunto il sindaco di Napoli quando ha dichiarato che il Porto di Napoli era pronto ad accogliere i migranti della nave Aquarius?
“Condivido e sottoscrivo ogni parola del nostro sindaco sulla vicenda Aquarius. Avevamo l’obbligo morale (nonché giuridico) di soccorrere e lasciar scendere in Italia quelle persone: su questo non può esserci dibattito, ha detto oggi de Magistris. Sono perfettamente d’accordo. Possiamo discutere della politica europea sull’immigrazione, degli sbagli fatti in passato dai precedenti Governi, del regolamento di Dublino, ma lasciare in mare uomini, donne e bambini è un’altra cosa. Sono felice che il nostro sindaco abbia sollevato la sua voce e fiera che abbia descritto Napoli come un luogo di accoglienza; questo rende la mia città, piena di problemi, molto più ricca di molte altre. Ripeto, siamo in un momento storico in cui dobbiamo scegliere da che parte stare. Restare zitti a guardare, per me, è già una scelta, per cui il gesto e le parole di de Magistris erano doverose e sono state cariche di significato”.
Quando lavori quotidianamente con persone scappate dal proprio Paese di origine per rifugiarsi in Italia ti senti di lottare per una giusta causa che va oltre il tuo mestiere di avvocato? La motivazione che ti spinge a lavorare con i rifugiati, abbraccia anche una sfera emotiva ed umana?
“Ti rispondo ricordando a me stessa una domanda fattami anni fa dal mio dominus: “Tu vuoi fare l’avvocato o essere un avvocato?”. Ebbene, con tutti i miei limiti, ho deciso che sono un avvocato e come tale mi piace pensare di non essere altro che uno strumento per la difesa dei diritti dei miei assistiti. Occupandomi di diritti umani e immigrazione, il compito è più delicato, perché investe la vita delle persone fino a cambiarla radicalmente. Noi tendiamo a dare per scontati diritti quali l’istruzione, la libertà di movimento, la libertà di scegliere chi amare. Le persone con cui mi confronto ogni giorno scappano da guerre, non hanno potuto studiare, non hanno il diritto di cambiare Paese, molte donne sono state costrette a sposare uomini imposti dalla famiglia e molti rischiavano di essere detenuti per il loro orientamento sessuale. Questo settore, non solo permette di esercitare una funzione sociale e coinvolge la sfera emotiva e umana, ma soprattutto mi fa appassionare alla nostra Carta Costituzionale e a quei diritti per cui si è tanto lottato e che oggi, più di prima, dobbiamo apprezzare e continuare a difendere, per noi e per chi viene da un po’ più lontano”.