Home Cultura e Arte Il manicomio in “tredici canti”. Anna Marchitelli esplora la follia

Il manicomio in “tredici canti”. Anna Marchitelli esplora la follia

Editoria. Racconti ispirati alle cartelle cliniche ritrovate nell’ospedale psichiatrico Leonardo Bianchi

Anna Marchitelli, giornalista napoletana, collabora alle pagine della cultura e dello spettacolo del Corriere del Mezzogiorno. In occasione del quarantennale della legge Basaglia ha pubblicato di recente I tredici canti (12 +1) edito da Neri Pozza. Tredici storie di follia tratte da altrettante cartelle cliniche rinvenute presso l’archivio dell’ex ospedale psichiatrico Leonardo Bianchi al cui interno la Marchitelli ha svolto lunghe e accurate ricerche. Un lavoro che nasce con un chiaro scopo sociale e con l’intento, come ricorda la giornalista, di sottrarre all’oblio le storie di follia e abbandono di tanti uomini e donne relegati all’interno del nosocomio.

Come nasce l’idea del libro?
L’idea del libro nasce dopo anni di frequentazione dell’ex manicomio e del suo archivio, grazie alla collaborazione nata nel 2010 con l’ex dirigente del polo archivistico Anna Sicolo. Dopo aver pubblicato articoli che raccontavano alcune delle storie tratte dalle cartelle cliniche, ho sentito l’esigenza di dare voce a quanti sono stati reclusi ingiustamente in quei luoghi infernali. Non mi bastava più il singolo articolo, avevo bisogno di penetrare intimamente nel loro animo, di modo da contattare il dolore vissuto e il tragico destino subito e in qualche modo riscattarlo. Offrendo agli uomini e alle donne, che sono stati rinchiusi per anni nella città dei pazzi, la possibilità di raccontarsi e di tracciare la propria autobiografia in modo lucido e consapevole, credo di aver dato loro anche la possibilità di liberarsi da un limbo dove vagavano per morire finalmente nella pace della verità. Non sono un’archivista né una psichiatra, il mio approccio alle carte è stato dunque prima umano e poi letterario, di empatia verso le persone di cui si conserva traccia nei documenti. Ciò che mi ha guidato nella scrittura è stato il concetto di follia che nasce quando viene violata la libertà di essere e di aderire alla propria natura, qualunque essa sia”.

Quali storie vengono raccontate nel libro e con che criterio le hai scelte?
Le tredici storie sono semplici ma straordinarie storie di vite umane, scelte seguendo un ordine cronologico, di modo che sullo sfondo ci fosse la storia che scorre con le sue piccole e grandi vicende: dal pensatore Martinotti, di cui solo Benedetto Croce ha lasciato traccia del suo ardore e della sua appassionata ricerca dell’armonia universale, al giovane ribelle Emilio Caporali che tentò di assassinare Francesco Crispi perché stanco di vivere nella miseria e nell’impossibilità di proseguire i suoi studi di architettura all’Accademia di Belle Arti di Napoli, dall’anarchica Clotilde Penai rinchiusa ultrasessantenne solo perché considerata ancora pericolosa e capace di aizzare la folla pur essendo completamente inoffensiva, alla profuga di guerra Rosa Prosdocimo consapevole di essere solo il prodotto della Storia e destinata a subire ogni genere di violenza, fino al primo pentito di camorra Gennaro Abbatemaggio che, creatore insieme con scrittori e regista di un’estetica della camorra, si faceva richiudere nell’ospedale psichiatrico quando credeva di essere perseguitato dalla polizia o dalla camorra. Ma sono solo alcuni dei tredici folli…”.

Nel tuo racconto storia e creazione si mescolano in un intreccio prefetto.
Storia e creazione si fondono al punto da non individuare più i confini dell’una e dell’altra, i dati storici sono tratti dalle cartelle cliniche e dalle cronache dell’ep oca (quando si tratta di personaggi celebri), mentre la creazione è tutto il loro parlare, raccontare, analizzare da uno stato di autocoscienza, il buttar fuori l’esperienza del dolore e il ricordo di ciò che è stato, il dialogo con la propria ombra per mettersi in cammino verso la luce”. Il libro esce in concomitanza con il quarantennale della legge Basaglia che stabilì la chiusura dei manicomi. Che cosa ha rappresentato questa legge nella vicenda italiana? “Ha segnato un prima e un dopo, e a quel “prima” non si è mai più fatto ritorno per fortuna. La legge 180 ha messo fine all’esperienza dei manicomi per dare il via a un nuovo modo di trattare la malattia mentale: non più come una devianza da nascondere, ma come una patologia da curare. Certo, non fu semplice metterla in pratica e scontrarsi con difficoltà pratiche di ricollocazione dei pazienti ma anche con l’opposizione che molte famiglie mostrarono. Si pensi che fino a 16 anni fa l’ex manicomio di Napoli, ad esempio, aveva ancora un centinaio di pazienti ricoverati. Ora, però, dopo 40 anni da quella legge così civile dovremmo preoccuparci di recuperare quei luoghi di tortura, e impegnarci a riqualificarli: per non perdere la memoria, continuare a far vivere la storia, anche nelle vicende più atroci, e portare la bellezza della cultura negli ex manicomi che mantengono inalterato il loro fascino bestiale”.

Qual è oggi la condizione di chi è affetto da malattie mentali e cosa si può fare per migliorarne l’assistenza e le cure?
Non sono un medico, credo però che le nevrosi della nostra epoca stiano sempre più degenerando in patologia, ma non si può fare molto se il mondo, nella sua totalità, continua ad andare nella direzione di distruzione, guerra ed individualismo sfrenato”.

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