RETAGGI: devo fare una confessione: mano a mano che si andava dipanando il primo giro di campionato, ho sempre valutato con una certa sufficienza gli eventi, nonostante i risultati dicessero a chiare lettere che c’era ben poco da stare mosci. Sarà dipeso dalla fin troppo celebrata considerazione che la città, e di conseguenza tutto ciò che le appartiene, sia il luogo in cui l’Estetica domina sull’Etica in una maniera talmente pregnante, da essere diventata la base di ogni tipo di racconto. Volendo applicare questo ragionamento alla parte che ci riguarda in questa rubrica, abbiamo celebrato la meraviglia delle squadre di Sarri e Spalletti come il traguardo raggiunto nel rispetto puntuale dei canoni della narrazione comune di Napoli e delle sue componenti: quella che il bello venga prima di tutto e che il pragmatismo non appartenga alla nostra cultura e quindi vada considerato un orpello rinunciabile, e chi se ne frega se questo ci tiene ancorati alla mediocrità. Per la dimostrazione di questo teorema è proprio il calcio a venirci incontro. Il Napoli vincente si è manifestato così tanto di rado da potersi considerare senza tema di obiezioni una banale eccezione alla regola che l’Estetica di cui sopra, può essere al massimo un fatto incidentale ma non la strada maestra da perseguire per una permanenza in pianta stabile tra i vincenti. Volendo allontanarci dalle nostre latitudini e fare un esempio calzante, il Milan di Sacchi era bellissimo da vedere ma ha vinto UNO scudetto, mentre i veri numeri li ha fatti Fabio Capello con un calcio ipertattico e votato al risultatismo più radicale.
SOSTANZA: Il primo a star lavorando all’obiettivo di uscire da questa casualità, lo sta facendo da ormai 18 anni. I risultati sono ottimi perché il suo lavoro ha portato a costruire una base che si può considerare ormai molto solida e la presenza in pianta stabile ai piani alti della classifica italiana oltre alla presenza in Europa per 15 anni di fila, ci dice che il suo lavoro lo sta facendo al meglio. Ora però è arrivato il tempo di essere i migliori almeno altrettanto spesso che essere TRA i migliori. Per rendere lo scudetto di Spalletti l’inizio di un ciclo vincente è necessario che il lavoro duro diventi il mantra da perseguire in ogni modo possibile. Spalletti è stato uno scultore, ora serve un cazzo di fabbro. E pare proprio che lo abbiamo trovato.
Il Napoli di Conte è il trionfo del pragmatismo e le 16 vittorie su 21 partite di cui la metà “di misura”, giocando per un lungo periodo un calcio ansiogeno e a tratti poco digeribile è una chiara manifestazione dell’intento di istituire un nuovo corso basato sul lavoro durissimo e non sulle abilità dei singoli. D’altronde con il duro lavoro migliorano anche gli estrosi, mentre con l’estro non si può imparare a farsi il mazzo. La faccenda strana è che questa operazione viene messa in atto da un allenatore leccese, un direttore sportivo salernitano ed un presidente romano di origine napoletana. Insomma uno spot contro i peggiori luoghi comuni sulla scarsa abnegazione dei meridionali. Da queste parti la tendenza ha già cominciato ad invertirsi da tempo, ma il nostro popolo ha bisogno di modelli virtuosi a cui ispirarsi per una emancipazione sempre più necessaria, a maggior ragione per la volontà di aumentare le distanze tra esseri umani che sembra essere dominante in questo momento storico.
RIVOLUZIONE: Veniamo al triviale, che di sociologia ignorante abbiamo farneticato a sufficienza. Mamma mia e che paliàta che gli abbiamo dato. Gasperini è dovuto ricorrere alla reidratazione parenterale in conseguenza al pianto scomposto. Ha versato talmente tante lacrime che ad un certo punto, per carenza di sali minerali ha avuto cenni di vaneggiamento, dichiarando sostanzialmente una superiorità della sua squadra che ha visto evidentemente solo lui (peraltro i due gol atalantini sono stati belli sì, ma supportati da due rimpalli che hanno apparecchiato il tiro sia di Retegui che di Lookman come meglio non potevano). Non che l’Atalanta abbia giocato male, tutt’altro, ma non si è mai manifestata una superiorità assoluta, tale da lasciare al risultato finale quel sentore di “botta di culo” che avrebbe reso immeritata una vittoria invece sacrosantissima. Di fatto, Atalanta-Napoli è stato uno di quei fenomeni rari di partita esteticamente piacevole benché estremamente tattica, grazie al fatto che si sono incontrate due squadre i cui calciatori sono stati indotti ad un livello di concentrazione totalizzante dai rispettivi allenatori. Una sorta di calcio all’italiana da esportazione. Quanto sarebbe bello se questo asse Napoli/Bergamo diventasse il vero contrappeso della direttrice Milano/Torino che nell’ultimo secolo ha portato a casa 66 scudetti su 100. Sarebbe ancora più bello se a questa nuova geografia calcistica si aggregassero le squadre romane, magari la Fiorentina, perché no, qualche novità come il Como. Sarebbe veramente ora di chiudere il ciclo polarizzato da 100 anni dalla sperequazione economica tra le “capitali industriali” e il resto del paese.
Ah già, il Paese… quello in cui è vietato circolare se sei un tifoso del Napoli residente a Napoli.
Me sa che ce vonno ati cient’anni…