Il carcinoma mammario triplo negativo (TNBC) rappresenta il 20% dei tumori al seno ed è anche il sottotipo più aggressivo, a causa delle sue caratteristiche clinico-patologiche, tra cui la giovane età all’esordio e la maggiore propensione a sviluppare metastasi. Le pazienti con il triplo negativo metastatico hanno prognosi peggiore rispetto a quelli diagnosticati con altri sottotipi di cancro alla mammella metastatico: oggi non ci sono bersagli molecolari riconosciuti per la terapia.
Lo studio sviluppato nei laboratori del centro di ricerca di Napoli CEINGE-Biotecnologie avanzate in collaborazione con il Dipartimento di Medicina Molecolare e Biotecnologie Mediche (Università di Napoli Federico II) e l’Unità di Patologia dell’Istituto Nazionale dei Tumori IRCS Fondazione Pascale ha dimostrato che la proteina Prune-1 è iper-espressa in circa il 50% dei pazienti con carcinoma mammario triplo negativo ed è correlata alla progressione del tumore, alle metastasi a distanza (polmonari) ed anche alla presenza di macrofagi M2 (presenti nel microambiente tumorale del TNBC e correlati ad un rischio più elevato di sviluppare metastasi).
I ricercatori hanno anche identificato nel modello murino una piccola molecola non tossica, che è in grado di inibire la conversione dei macrofagi verso il fenotipo M2 e di ridurre il processo metastatico al polmone.
Un traguardo importante, raggiunto da un team guidato da Massimo Zollo, genetista, professore dell’Università degli Studi di Napoli Federico II e Principal Investigator del CEINGE, del quale fanno parte, tra gli altri, due giovani ricercatrici della Federico II e del CEINGE Veronica Ferrucci e Fatemeh Asadzadeh (dottoranda SEMM).
La prima fase della ricerca ha riguardato lo studio di un modello murino geneticamente modificato di TNBC metastatico, caratterizzato dall’iper-espressione dei geni PRUNE1 e WNT1 nella ghiandola mammaria. «Il modello murino da noi studiato – spiega Veronica Ferrucci – genera non solo tumore primario di tipo triplo negativo, ma anche metastasi polmonari. Il modello murino ci ha consentito di identificare la presenza di macrofagi di tipo M2 sia nel microambiente del tumore primario che nel microambiente metastatico polmonare».
«Attraverso l’utilizzo di database di carcinoma mammario invasivo – aggiunge Fatemeh Asadzadeh –., abbiamo avuto la conferma che quando questi geni sono iper-espressi, si verificano prognosi peggiori. Il processo scoperto nel modello murino può essere lo stesso anche nella donna».
«Per noi un’ulteriore “prova” è stata l’aver riscontrato la presenza di alcune varianti genetiche identificate nel modello murino in campioni di carcinoma mammario TNBC umano presente in banche dati ma di funzione sconosciuta ora rese note grazie agli studi ottenuti nel modello murino», chiarisce Massimo Zollo.