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La paura del vaccino? È irrazionale

di Alberto Vito *

La contrapposizione del pensiero tra chi valuta la profilassi come una salvezza e chi è perplesso

Nel nostro Paese è iniziata la somministrazione della terza dose di vaccino anti-Covid per le persone “fragili”, affette da patologie importanti, e a breve partirà anche per gli operatori sanitari più esposti al rischio di contagio. Tuttavia, quello che colpisce veramente è la profonda contrapposizione di pensiero tra chi valuta il vaccino come una salvezza, a lungo invocata, che sta dando un contributo decisivo per debellare la pandemia e i tanti che continuano a dichiarare scetticismo e perplessità all’idea di vaccinarsi. Va detto che comunque la stragrande maggioranza di italiani si è vaccinata, magari con qualche timore, e che indubbiamente sono stati commessi errori nelle strategie di comunicazione. Ad esempio, tuttora si comunicano ogni giorno il numero complessivo dei nuovi positivi ma non si enfatizza il dato di quanti sono i non vaccinati tra i ricoverati in ospedale e che essi sono la maggioranza tra coloro che necessitano di cure intensive.
Da dove deriva questa posizione di scetticismo verso i vaccini che, di fondo, è critica nei confronti della scienza? Quali sono i meccanismi psicologici che sottendono una posizione che, in molti, è sostanzialmente irrazionale?

Certo, nel nostro Paese scontiamo anche anni di no-vax propugnati da personaggi pubblici con grande seguito. Tra chi teme di vaccinarsi, vi sono posizioni dove si possono leggere spunti critici sensati, ma anche paranoici, persecutori e, qualche volta, persino francamente deliranti. Ma il punto non è questo.
La regola di base, valida proprio per tutti, è che ciascuno di noi davvero ignora tutto quello che non sa. È una regola assolutamente ovvia e semplice eppure molti non ne tengono conto. Nel senso che ciascuno di noi dimentica di ricordare su che basi, su quali fondamenta si poggiano le proprie opinioni. Le opinioni che ci formiano dipendono sia da quello che sappiamo, frutto della somma tra esperienze pratiche e conoscenze teoriche, ma sono anche conseguenza di tutto quello che non si conosce. Ma proprio perché non si conosce, tendiamo a negare l’importanza e perfino l’esistenza di tutto quanto ci è sconosciuto. È un meccanismo di base: ignorare quello che non sappiamo. In parte, è un meccanismo che ci serve a sopravvivere: se io ogni volta dubitassi di quello che penso, tutto diventerebbe precario ed incerto (per la verità, il pensiero scientifico procede proprio così. Ogni affermazione non è valida per sempre e in assoluto, ma lo è fino a quando non comparirà una nuova affermazione più convincente). Insomma, ignorare il tantissimo che non sappiamo è anche utile, per dare un senso di certezza alle nostre convinzioni.

Però, non bisogna esagerare. Servirebbe a tutti un bel bagno di umiltà, porre più attenzione alle credenze molto limitate (in termini scientifici, in termini culturali, ecc) su cui poggiano le opinioni che spesso difendiamo con tanta forza. Sarebbe assai utile che molti, prima di parlare a vanvera, si chiedessero su quali conoscenze hanno costruito le loro granitiche convinzioni e riconoscessero di non sapere. Peccato che, anche per dubitare ed avere capacità critica, occorre studiare. Altro errore, infine, è quello di dimenticare che il rischio zero non esiste. Ad esempio, sappiamo che prendere un treno, guidare l’auto, viaggiare in aereo, sono tutte attività comportanti sempre un rischio, sia pur minimo. Tuttavia, altro errore, tendiamo a dimenticare come anche non fare una determinata attività comporti l’assunzione, consapevole o meno, di una quota di rischio.
Eppure, tendiamo a pensare che non fare una determinata cosa sia meno rischioso. Ci sono motivazioni emotive inconsapevoli che ci spingono a credere all’ipotesi rassicurante che possano esistere comportamenti non rischiosi. Ma non è cosi. E, ancora una volta, la cosa meno rischiosa è affidarsi a chi ne sa più di noi.

* Responsabile U.O.S.D. Psicologia Clinica Ospedale dei Colli

 

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