Tra misteri e leggende
Bisogna cercarla con gli occhi, percorrendo la Tangenziale, dall’altezza di Corso Malta in poi e fino a poco prima dell’imbocco della galleria di Capodimonte. Si staglia sulla sinistra e svetta nel nugolo di costruzioni che l’hanno avviluppata dalla fine degli Anni 50 del secolo scorso. È la torre di Palasciano, una sorta di Palazzo della Signoria fiorentino in versione partenopea.
Quella torre, che fa parte integrante del panorama di Napoli e che la si può scorgere anche da tantissimi altri punti della città, ha una storia che si può comprendere scrutando nella vita di chi la volle far costruire, Ferdinando Palasciano, appunto. Era un medico chirurgo, nato a Capua nel 1815, da famiglia originaria di Monopoli. Il padre, segretario comunale, era stato trasferito nella città campana e lì aveva sposato una locale, Raffaella Di Cecio. Brillantissimo negli studi, Palasciano all’età di 25 anni aveva già conseguito tre lauree: la prima in Belle Lettere e Filosofia, la seconda in Veterinaria e la terza in Medicina e Chirurgia. Da giovane medico servì militarmente i Borbone e rimase, come ufficiale dell’esercito fino al 1849.
Fu un’esperienza che lo formò sul piano umano e sociale. Seguendo i militari in battaglia si trasformò in “chirurgo di guerra”. Si distinse soprattutto durante i moti scoppiati a Messina nel 1848, quando il generale Filangieri, spedito da re Ferdinando a domare la rivolta, di fronte ad un elevato numero di feriti provocati dal lungo assedio ordinò che fossero curati solo i soldati borbonici e lasciati al proprio destino i “nemici”. Palasciano, però, non se la sentì e volle tener fede al giuramento di Ippocrate. Curò alla stessa maniera tutti i feriti. Era la prima volta che accadeva, ecco perché Palasciano è passato alla storia come il precursore della Croce Rossa, che appunto fu poi fondata ispirandosi allo stesso principio della neutralità e dell’intoccabilità dei feriti.
La disobbedienza dell’ufficiale medico agli ordini del Filangieri non restò impunita. Filangieri lo trascinò davanti al Tribunale di guerra. Palasciano si difese sostenendo che la sua missione di medico era troppo più sacra del dovere di soldato, per cui i feriti andavano curati tutti, indipendentemente dal fatto che fossero o meno “nemici”. Fu condannato alla pena capitale, ma Re Ferdinando commutò in un anno di reclusione ed ironizzando sulla bassa statura del medico commentò: “…che male volete che egli faccia; chillo è accussì piccirillo…”.
Caduti i Borbone Palasciano poté esporre liberamente le sue idee e, in occasione del Congresso internazionale dell’Accademia Pontaniana del 1861 tenne un vibrante discorso sul trattamento dei prigionieri di guerra feriti che ebbe vasta eco in tutta Europa e che tre anni più tardi sarà alla base della Convenzione di Ginevra.
Palasciano fu anche un chirurgo famoso, in Italia e in Europa: eseguì migliaia di interventi, molti dei quali con tecnica altamente innovativa. Numerosi venivano espressamente a Napoli per farsi operare da lui e molti medici frequentavano la sua sala operatoria per imparare la sua tecnica.
Era così conosciuto che fu chiamato a consulto da Garibaldi per curare la ferita al malleolo per la fucilata rimediata sull’Aspromonte. Consigliò subito l’intervento chirurgico per l’estrazione del proiettile. Ma non fu ascoltato dai medici del generale, che si convinsero solo dopo tre mesi, visto che il dolore e la sofferenza non passavano. Tra Palasciano e Garibaldi rimase però una profonda amicizia testimoniata da una nutrita corrispondenza epistolare conservata al museo di San Martino. Palasciano fu eletto deputato per tre legislature, fu poi senatore e assessore al Comune di Napoli. In questa veste si batté per istituire una Casa di maternità all’Annunziata.
Subì anche un grave sgarbo dal governo italiano che quando si trattò di nominare un delegato che lo rappresentasse in occasione dell’assemblea costitutiva della Croce Rossa, fece il nome di un altro medico e di un capitano, dimenticando che era stato invece il chirurgo napoletano ad ispirare i criteri che avrebbero poi fatto sorgere in Svizzera la Croce Rossa.
Ormai vecchio si ritirò quasi a vita privata.
Ma non smise di curare quanti chiedevano il suo aiuto. Con il calesse scendeva dalla collina di Capodimonte ogni mattina e tornava all’imbrunire. Andava in ogni casa dove ci fosse un malato da curare che aveva richiesto il suo intervento. Quella collina però era anche pericolosa, soprattutto di sera. I banditi non mancavano, anche allora. Per arrivare a Capodimonte c’era una sola strada che era poco più di un sentiero. La moglie di Palasciano, la signora Olga era sempre più preoccupata. Palasciano per venirle incontro ebbe un’idea geniale. Acquistò dagli eredi dell’infettivologo Domenico Cotugno un fondo di oltre 28 moggi e ordinò all’architetto Cipolla, uno dei più illustri del tempo, di costruirgli un palazzo di cinque piani ad immagine a somiglianza del Palazzo della Signoria di Firenze.
La signora Olga, affacciandosi da quei merli dai quali si poteva ammirare dall’alto per intero il sentiero che lì conduceva, poteva seguire il percorso del calesse del marito che faceva ritorno a casa e tranquillizzarsi. Ecco perché nasce Torre Palasciano.
Amorevolmente assistito da pochi amici e dalla moglie, una nobile di origine russa, morì a Napoli il 28 novembre del 1891 e fu sepolto nel recinto degli uomini illustri nel cimitero di Poggioreale.
Secondo una leggenda napoletana, Palasciano non avrebbe mai voluto allontanarsi dalla sua magnifica casa e dalla moglie anche se defunta, così il suo fantasma sarebbe stato visto anche in tempi recenti affacciarsi dalla torre per ammirare il panorama di Napoli e il cimitero in lontananza. Ma è una leggenda. L’intero complesso è stato in buona parte recuperato mentre la torre, restaurata, oggi ospita invece un bed and breakfast.