Il presidente Volodymyr Zelensky ha fatto smentire la “mediazione” di Papa Bergoglio ed ha insistito nella richiesta all’Occidente di moderni jet F-16 in vista della pluri-annunciata controffensiva di primavera per la riconquista di Crimea e Donbass, le quattro regioni annesse dalla Federazione russa dopo il golpe a cavallo del 2014 e la fuga del presidente Viktor Yanukovich. Anche Mosca s’è detta all’oscuro dell’azione diplomatica del Vaticano. Una clamorosa doppia smentita all’affermazione del Pontefice. Il Consiglio di sicurezza USA sostiene che le perdite russe in Ucraina negli ultimi quattro mesi ammontino a 100mila vittime: 20mila morti e 80mila feriti. Le vittime ucraine, a naso, dovrebbero essere altrettante di là dalle cifre che usualmente spaccia Kiev. Gli attentati delle forze partigiane in Russia hanno, dopo Sebastapoli, colpito a Briansk facendo deragliare un treno proveniente dalla Bielorussia e al confine con Lettonia e Finlandia dove sono stati distrutti alcuni impianti elettrici.
Negli Stati Uniti si profila – salvo sorprese da tener sempre in debito conto – un nuovo duello per la Casa Bianca tra Joe Biden e Donald Trump. Il segno più evidente della crisi americana. Da un lato, un politico – Biden – che ha trascorso l’intera sua vita a Washington, fino a raggiungere le più alte sfere istituzionali ma restìo ad arrendersi sulle barricate della senilità, del tutto inconscio dei suoi fallimenti nelle relazioni internazionali, dal vile ed osceno ritiro dall’Afghanistan al catastrofico “regalo” della Russia alla Cina, spingendo gli ucraini a dissanguarsi in una guerra di logoramento con Mosca. La NATO è stata rianimata ma il prezzo è ritrovarsi nemica l’altra superpotenza nucleare.
Dall’altro lato, un ‘parvenu’ della politica – Trump – che ha accompagnato con i fuochi artificiali di una perenne retorica elettorale, sublimata nel demenziale atteggiamento verso il tragicomico assalto al Congresso, una sostanziale prudenza nelle relazioni internazionali, premiata dallo storico accordo tra arabi e israeliani mentre affrontava Pechino nella decisiva partita dell’Indo-Pacifico con la benevola neutralità di una Russia che forniva all’Europa energia a costi contenuti. Soltanto negli ultimi anni, con la defenestrazione del presidente ucraino Viktor Yanukovich e la progressione della NATO nello spazio della stessa ex Unione Sovietica, Putin s’è preoccupato delle armi, impegnato com’era stato a ricostituire un minimo di welfare e a ristrutturare e costruire strutture e infrastrutture civili dopo il disastroso crollo – per fallimento – dell’impero comunista negli anni Novanta.
L’esito del duello Biden-Trump influenzerà fortemente la guerra in Ucraina, se ancora in corso, e le relazioni tra le due massime superpotenze nucleari; inciderà sostanzialmente sul futuro dei rapporti tra l’Africa e l’Europa e sulla sfida USA-Cina nell’Indo-Pacifico. Le ultime indagini demoscopiche negli Stati Uniti rivelano che la maggioranza degli elettori democratici avrebbe preferito vedere “Slippy Joe” concedersi un ‘buen retiro’, assieme alla sua vice Kamala Harris che doveva essere la sua spalla ma n’è stata l’ombra, letteralmente. Il timore che possa succedergli durante un prossimo mandato li angoscia. L’incriminazione di Trump – sospetta a molti per tempestività e impatto mediatico – ha fatto terra bruciata dei rivali repubblicani alle primarie. Se resta Trump l’avversario, Biden ritiene d’aver maggiori speranze d’essere rieletto. Lo affiancano, peraltro, la gran maggioranza dei mass media e degli elettori di colore e di più recente immigrazione. Questo, in sintesi e per ora, il quadro…
‘The american spectator’ ha ricordato come solamente il 46% degli elettori nel 2021 si dichiarava convinto che Biden stesse in buone condizioni psicofisiche (“Joe Biden is mentally fit”); percentuale ridottasi al 40% in un sondaggio della ‘Washington Post’ del febbraio dell’anno seguente; e che ora si attesterebbe attorno al 44% secondo la “Harvard Caps/Harris Poll”. La ‘Fox News’ avrebbe ottenuto la copia di una lettera – da far firmare ai parlamentari – con la richiesta a Biden di un “esame clinico cognitivo” prima di assumere eventualmente il reincarico. Un invito simile fu rivolto a Trump, che lo accettò quand’era alla Casa Bianca. Timori di un presidente anziano e rallentato nei riflessi non albergherebbero tra i soli repubblicani. In passato da ambedue gli schieramenti si sono sollevate dove perplessità e dove preoccupazione per la responsabilità del ‘comandante in capo’ di schiacciare il pulsante dell’attacco atomico: una responsabilità che un numero vieppiù numeroso di uomini politici vorrebbe maggiormente condiviso.
Nei giorni scorsi l’ex presidente ha attaccato duramente Biden. I suoi discorsi difficilmente vengono in sintesi riportati dai media europei. Eppure talvolta varrebbe la pena sapere ciò che dice. Segnatamente quando (purtroppo non sempre) coglie nel segno. “Se prendiamo i cinque peggiori presidenti della storia americana – ha affermato Trump – e sommassimo i loro errori, (si può dire che) essi non abbiano fatto i danni che ha totalizzato Biden alla nostra nazione. Con la sua ‘spesa socialista’ le famiglie americane sono state colpite dalla peggiore inflazione dell’ultimo mezzo secolo. Le banche stanno fallendo. La nostra valuta perde valore. Il dollaro rischia di perdere il ruolo di valuta standard mondiale (per il commercio e gli scambi) e ciò costituirebbe la più grave sconfitta della nostra storia. Il potere d’acquisto dei salari reali diminuisce da ventiquattro mesi di fila e i lavoratori hanno ricevuto un vero e proprio taglio della loro paga. Abbiamo il prezzo della benzina che sale incessantemente da cinque mesi”.
E ancora: “Durante la mia presidenza avevamo la frontiera (meridionale con il Messico) più sicura della nostra storia. Con Biden, invece, il nostro confine è stato praticamente abolito e milioni di immigrati illegali l’hanno attraversata, arrivano persino da manicomi e da prigioni appositamente svuotati (come fece Fidel Castro, ndr) e si tratta di criminali molto pericolosi. Siamo diventati la discarica (dell’America latina), le nostre città sono state invase da senzatetto, drogati, delinquenti rilasciati impuniti da prigioni (da svuotare) e riversati negli USA, dove i rigori della legge sono invece utilizzati a volte contro gli oppositori e i repubblicani. I bambini vengono indottrinati da zeloti di sinistra. Gli alti gradi militari sono affidati a generali incompetenti con grandi sofferenze per le nostre forze armate. Biden ha umiliato l’intera nazione sulla scena mondiale con il disastro del ritiro dall’Afghanistan, l’evento più imbarazzante nella storia del nostro Paese, ci siamo arresi e ciò ha rafforzato i nostri nemici. All’Iran manca ormai poco tempo per realizzare l’ordigno nucleare, qualcosa d’inimmaginabile. L’Ucraina è stata devastata da un’invasione che non sarebbe mai avvenuta se io fossi stato ancora presidente. (E ora) la Russia sta facendo squadra con la Cina. Joe Biden ci ha portati sulla soglia della terza guerra mondiale”.
Almerico Di Meglio (Napoli, 1948), giornalista professionista dal 1981, già inviato speciale all’estero e notista di politica italiana. Vive tra Napoli, l’isola di ischia e Parigi. Ha fatto parte dal 1979 al 2009 della redazione de “Il Mattino”. Caposervizio e inviato della Redazione Esteri ha scritto da molti Paesi: dall’Europa dell’Est e dell’Ovest, divise dalla Cortina di ferro, agli Stati Uniti e al Canada, dall’America Latina all’Africa Australe e del Nord, dall’Asia centrale e segnatamente dall’ex Unione Sovietica. Successivamente ha lavorato alla Redazione Politica. E’ esperto di relazioni Est-Ovest, di questioni geopolitiche e geostrategiche. Ha pubblicato “Tra le rovine dell’impero sovietico (Università Popolare di Torino editore, 2015).