Luogo di incontri, commerci, feste e proteste. Gli imprenditori storici, presidi di civiltà
Napoli città teatro, e piazza Dante ne è uno dei più vivaci palcoscenici, “contenitore” che accoglie e rappresenta fatti e misfatti di una intera comunità. La lucida sintesi è di Angelo Martino, patron dell’ormai quasi centenario ristorante “Al 53” e appassionato cultore di storia e di memorie. La vita scorre anche in tempi di Covid: “A ottobre è venuto Landini per la Whirpool. Poi c’è stata una manifestazione Lgbt ricca di musica e colori. Le proteste antiDad delle mamme. I mercatini della Coldiretti…”. Ogni giorno, insomma, stimoli e sorprese. Un luogo di incontri che riflette il fluire di una vita “comunitaria”, con presidi storici che sono un argine contro lo spirito “utilitaristico”.
Folta resta la presenza di locali ben frequentati e punti culturali. Se il ristorante “Dante e Beatrice” è caduto sotto i colpi del caro affitti, lungo l’emiciclo – oltre al tempio della gastronomia partenopea “Al 53”, cioè al civico 53 – si notano ancora, tra gli altri, la tipografia Graziani, la ditta di pianoforti Nunneri, il “Leon d’Oro” e al lato opposto dell’emiciclo la storica sede del libraio editore Tullio Pironti (e a Port’Alba l’accogliente libreria-bar dei Berisio, mentre la casa editrice Guida è ora in via Bisignano). I ristoratori non si lamentano: il Covid passerà; al cibo non si può rinunciare (intanto non va affatto male con il delivery, consegne a domicilio). Un po’ più avanti, gruppi di anziani si intrattengono sulle panchine socializzando sotto i raggi del sole. E poi, nell’ampio slargo, professionisti che discutono, studenti che parlottano e bambini che giocano sotto gli occhi delle mamme mentre un flusso incessante di italiani e stranieri va e viene dalla stazione del metrò. Un’ariosa scenografia arricchita da chioschi e bancarelle storiche (come quella dei fratelli Amodio che risale al 1906).
Un luogo che si è trasformato ma non troppo, l’ex largo del Mercatello (dove nel Settecento si svolgevano, appunto, mercati, spettacoli e persino lezioni di equitazione; ma vi si erano seppelliti i morti durante la peste del 1656). Allora era ancora “fuori le mura”. Dopo il 1754 su incarico dei Borbone fu il Vanvitelli a “sistemare” il largo così come appare ora. Vi si festeggiavano gli avvenimenti più importanti. L’ultima stagione di grandi fasti risale ai tempi della bella époque e dei café chantant (legata al periodo d’oro della canzone napoletana): tutti bar con dehors. Tra i caffè letterari più importanti, il caffè Diodato (all’angolo con vico Mastellone) e il caffè del greco Demetrio Gallo, poi ceduto nel 1874 alla famiglia Molaro (accanto all’edificio del Caravaggio e dunque al civico 88 o 92 di piazza Dante) mentre, siamo nel Novecento, in piazza Dante 88 c’era “Chez Thomas”, altro ritrovo di intellettuali e artisti, poi soppiantato da un negozio all’ingrosso e al dettaglio di banane e frutta secca ed esotica (rimasto attivo fino agli anni Ottanta) cui subentrò il Notting Hill, locale underground di musica dal vivo. Agli inizi del Duemila, in piazza Dante una fase di stravolgimento per i lavori del metrò linea 1, e poi la risistemazione (con il tocco di Gae Aulenti).
Una “agorà” più autentica (certamente meno patinata e “turistica”) di piazza del Plebiscito, in continuità con l’asse viario di via Toledo voluto nel Cinquecento da don Pedro per accompagnare l’espandersi della popolazione dal centro verso Capodimonte e zona settentrionale (via Toledo è stata la prima “tangenziale” di Napoli). Dallo scorso ottobre, in seguito alla chiusura della galleria Vittoria, in piazza Dante è stata sospesa la ZTL. “Ma una volta superati i problemi contingenti”, auspica Angelo Martino, “spero che la pedonalizzazione di via Toledo (che attualmente si ferma all’altezza della BNL dove il flusso di persone che arrivano da piazza Trieste e Trento finisce per disperdersi) sia estesa fino al Museo, anche per facilitare le visite al Museo archeologico più importante d’Europa”.