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Napoli-Verona, altro che dimenticare. Vogliamo sapere

La chiusura della prima fase di preparazione al campionato suggerisce una prima serie di considerazioni e di rilievi. La parentesi di Dimaro ha confermato quanto già si sapeva sul carattere forte e carismatico del nuovo allenatore. È il suo grande pregio, unito alla sapienza tattica, alla esperienza accumulata in tanti anni di panchina e alla meticolosità organizzativa.
Restano sullo sfondo i suoi limiti temperamentali. Il suo ego esasperato dovrà necessariamente trovare un punto di sintesi con quello del fumantino De Laurentiis, e sarà obbligato a ridimensionarlo, quando, e verrà il momento, le circostanze lo metteranno al cospetto dell’ambiente, della tifoseria e del mondo dell’informazione.
Ad oggi Spalletti merita apprezzamenti per come si è calato nel ruolo, anche se, concedetecelo, qualche perplessità l’ha pure suscitata. Piccoli incidenti di percorso, che forse è utile segnalare per tempo, prima che diventino pesanti macigni sul cammino della squadra.
Prendiamo, ad esempio, quella frase infelice: “dimentichiamo Verona!”. Dimenticare? No, caro Spalletti. Certo, lei fa il suo gioco, vorrebbe seppellire il passato e badare solo al presente. Ma gli Spalletti passano, il Napoli resta. E in questo caso, cancellare una parentesi oscura, far finta che non sia mai esistita, a distanza di meno di tre mesi dall’accaduto, può lasciare una scia di mistero dannosissima. Quel Napoli di finale di campionato si era reso protagonista di una rimonta entusiasmante (eccettuata la parentesi del pareggio con il Cagliari). Quello stesso Napoli apparve incomprensibilmente spento ed abulico, persino Gattuso, quel giorno, se ne stette impietrito e tranquillo in panchina. Nessuno poté fornire spiegazioni, perché De Laurentiis da padre padrone aveva messo il bavaglio a tutti, con il silenzio stampa, un residuo di barbarie e di inciviltà, che solo una Federazione debole può ancora tollerare negli anni Venti del Duemila, al tempo cioè della comunicazione di massa e del dominio dei social. Il problema è che nessuno, ancor oggi, intende fornire chiarimenti. Quando affiora l’interrogativo il chiamato in causa continua a dribblare l’argomento.
Il match con il Verona rimarrà quindi come una macchia oscura sulla storia del Napoli, come lo è rimasto, a trenta anni di distanza, quello scudetto incredibilmente perduto a vantaggio del Milan e al termine di un campionato che il Napoli aveva dominato. Se Spalletti lo avesse capito, prima di chiedere di dimenticare si sarebbe battuto invece per un chiarimento pubblico, forte e inequivocabile. Anche perché quello che è accaduto al Napoli tre mesi fa potrebbe ripetersi anche sotto la sua gestione. Dovrebbe essere un suo interesse capire. Noi da queste pagine continueremo a chiederlo.
Ultimo breve appunto: Spalletti continua a ribadire che il Napoli è forte e continua ad esprimere giudizi positivi sull’organico, anche se poi vuole incatenarsi solo di fronte ad un’eventuale cessione di Koulibaly (e di Insigne no?). Lui è qui da venti giorni. Noi seguiamo il Napoli da cinquant’anni. L’organico non è da gettare, questo sì. Ma vi sono buchi giganteschi, che da anni non vengono coperti e che invano denunciamo. A prescindere dall’emergenza scaturita dagli infortuni di Demme, Lozano e Mertens, al Napoli mancano: un terzino sinistro di livello, un centrocampista specialista in interdizione, insomma un sostituto di Allan, due centrali (ammesso che i tre in organico restino), visto che si è dimostrato che non si può affrontare una stagione lunga e dispendiosa con impegni su tre fronti solo con quattro difensori. E se proprio vogliamo dircela tutta, visto che Spalletti insiste sul 4-2-3-1 manca anche un sostituto di Zielinski. A meno che non si voglia dar credito a Gaetano, che oltretutto tornerebbe utile anche come prodotto del vivaio. Insomma mancano all’appello quattro-cinque giocatori. De Laurentiis lo ha capito, ma fa il pesce in barile. Anche Spalletti ovviamente lo ha capito. Ma, e questo lo abbiamo capito anche noi, gli piace fare l’aziendalista. Fino a che le cose vanno bene, esserlo è un pregio per De Laurentiis. Ma nei momenti di difficoltà diventa un difetto. Chiedere ad Ancelotti, a Sarri e a Gattuso.
P.S.
Giudizio ovviamente rimandato sulla disposizione tattica della squadra. Ma lodi al tecnico per la scelta inequivocabile di Meret titolare. Brividi invece se dovesse confermare, come pare, l’impostazione suicida voluta da Gattuso, quella stucchevole e pericolosissima “partenza dal basso”, che ha creato solo guai (vedi Lazio, Verona e tanti altri casi ancora). Su questo punto faremo una guardia grintosa, niente scelleratezze. I soloni dicono che è il calcio moderno. Fare il tiki-taka nella propria area di rigore è un insulto all’intelligenza. La palla va allontanata il più presto possibile (ricordate Reina?) dalla propria zona minata. E’ una regola che vale da un secolo. E’ questo il calcio, la modernità non può legittimare follie. Speriamo che Spalletti intenda.
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