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La pandemia e il ritratto di una società in crisi nella visione artistica di Luigi Calì

di Eleonora Belfiore

In tempo di pandemia, l’arte chiede una nuova identità e reclama quello spazio che le è stato negato per anni, sollecitando importanti riflessioni sulla nostra società e invitando a un cambiamento non più procrastinabile.
Anche Luigi Calì, artista partenopeo di fama internazionale, ha risposto con generosità a questa sorta di ʻʻchiamata alle armiʼʼ.
Da anni impegnato nel sociale, il pittore ha esposto nelle sale interne del Gran Caffè Gambrinus (dove era presente anche un’opera del collega Bruno Ciniglia) “Urlo sordo”.
Lʼesposizione pittorica ha dato dunque valore aggiunto alla bella presentazione del libro “Pandemia Seconda Ondata: rabbia e confusione – La sfida di Pulcinella” di Angelo Iannelli, edito da Albatros Edizioni.
“Urlo sordo” riesce a sintetizzare con mirabile sintesi e pathos la sensazione angosciante, al contempo collettiva e personalissima, che stiamo vivendo e che diventa la metafora visiva dei tanti perché che restano irrisolti, della solitudine, mai così presente come nell’era della globalizzazione, che ci attanaglia, delle trappole e delle gabbie che ci costringono e ci trascinano in un abisso senza fine. E infine, racconta di quello scatto eroico e disperato che non ci abbandona mai, mettendo in evidenza quel naturale istinto di sopravvivenza che, chissà, tenta di condurci verso la salvezza.
La tela rappresenta lʼapoteosi di una stagione creativa, dal taglio fortemente introspettivo, iniziata con le “Sette opere di non misericordia”,.
Anche il titolo di questo ciclo pittorico pone l’accento sulla luce e sulle tenebre che avvolgono il cuore umano.
Un omaggio sentito e toccante all’arte immaginifica di Caravaggio.
E non è un caso che in questa lungimirante analisi sul nostro tumultuoso tempo, nell’epoca dell’indifferenza e della bulimia dei sentimenti a uso e consumo di un clic, Luigi Calì sia partito dalle suggestioni di Caravaggio, lʼartista maledetto per eccellenza, che visse le ansie, le speranze e le disillusioni di un periodo storico contraddittorio e complesso.
Al centro di questo ciclo, la figura di Cristo, sofferente sulla croce, che stringe idealmente a sé le persone in difficoltà, gli oppressi, gli emarginati, i torturati, le vittime di ogni forma di violenza, le donne che vengono abusate e umiliate, gli animali che soffrono a causa dei cambiamenti climatici causati dalla mano feroce di altri uomini.
Nelle opere di Luigi Calì scorre così la forza di Pollock, l’essenzialità del tratto dei manga più sofisticati,  il segno di Basquiat e quello non meno complesso di Vettriano, i moniti degli artisti della Land Art, le ambientazioni di Hopper e le sperimentazioni coraggiose di Kandinsky. Infine, l’eco della lezione dei grandi artisti del passato, reinventati e mai meramente copiati.
Come si conviene al grande gioco dell’Arte, che abbraccia la vita e il suo divenire oltre la bidimensionalità della tela.
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