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Napoli, lavora e sogna!

Spalletti ha rivitalizzato un ambiente che sembrava in piena crisi dopo il Verona

Convinto e determinato, diretto come mai e con il suo sguardo, a tratti luciferino, Luciano Spalletti si era presentato così da allenatore di un Napoli dell’anno zero dopo la delusione di maggio e della Champions fallita più che per un solo punto per la disgraziata follia di un gruppo fino a sette giorni prima degli ultimi novanta di campionato unito e compatto con il suo allenatore.
Non era facile il compito di Spalletti, tifosi delusi e arrabbiati, un presidente in rotta con tutti, a cominciare dal diesse Giuntoli fino ai giocatori, molti dei quali, i migliori, con la valigia pronta. S’è rimboccato le maniche Luciano da Certaldo, senza cucirsi addosso il ruolo di salvatore, di numero uno, ma di saggio contadino che si è preoccupato e si preoccupa del raccolto quotidiano e non pensa a quello del domani. Pochi proclami e solo fatti, tanti fatti e proponimenti chiari già in pieno mercato: “Rispetto il presidente e le sue necessità, ma se non mi tocca questo gruppo a me la squadra sta già bene così”.
Proponimenti da aziendalista e di sano realismo di cui aveva tremendo bisogno un club che doveva ripartire da una stagione finita in macerie, chiusa dall’addio di un tecnico, Gattuso, stimato da molti per la sua onestà intellettuale.

Il Napoli doveva rinascere e ripartire con dei valori e dei principi solidi. Spalletti nel segno di questi principi ha delineato e spiegato in modo straordinariamente chiaro ed efficace il suo pensiero, il suo modo di lavorare, di essere, di agire. Così, quello che passava per un allenatore inquieto, sempre in cerca di… nemici nello spogliatoio, è diventato il collante del club, di dirigenti, staff e giocatori compresi con i tifosi. Non si vincono sette partite consecutive in campionato se le idee di calcio, il culto maniacale del lavoro, la voglia di essere protagonisti, non sono stati trasferiti ed assimilati dal gruppo in modo totale. Ma Spalletti ci è riuscito continuando a tenere a freno un ambiente sempre stato troppo schizofrenico e non solo negli ultimi anni. Quasi benedettino nel suo credo lavorativo: “Ora et labora”. Preghiera, per mantenere concentrazione e piedi ben saldi per terra; lavoro, tanto: tecnico, tattico, atletico, ma soprattutto, azzardo senza tema di smentita, psicologico. Trasformare, cioè una squadra di indubbio talento ma troppo spesso evanescente, timorosa, umorale e incostante, in un gruppo finalmente maturo, consapevole dei propri valori e dei propri mezzi tecnici, ma soprattutto forte caratterialmente. Ha rigenerato Koulibaly e Fabian Ruiz mentalmente e tecnicamente, facendo diventare il primo il “comandante” del gruppo, il secondo il faro del gioco. Ha dato a Insigne, in scadenza di contratto, il ruolo di leader maximus, con l’ingrato compito, per Lorenzo, di sopportare, però, sostituzioni e panchine con il sorriso sulle labbra per il bene del gruppo e per dare l’esempio a tutti da capitano. Ha “allevato” più che allenato Osimhen con l’attenzione e la delicatezza che si deve ad un diamante grezzo da lavorare con estrema cura per farne un gioiello unico nel suo genere. Il resto della truppa, dal neo arrivato Anguissa a Elmas e Zielinski, da Politano a Lozano, da Lobotka a Demme, per non parlare dei “nuovi” Rhamani, Mario Rui e Di Lorenzo, non è altro che la conferma di una continuità trovata con il sudore della fatica quotidiana e con la voglia di vincere divertendo e divertendosi. Ci sembra un Napoli unito, forte, determinato, che dopo sette giornate di campionato e ventuno punti conquistati, ora deve giocare a carte scoperte per un obiettivo difficile ma non impossibile. Un Napoli che può e deve far sognare i tifosi. Anche se Spalletti, da saggio uomo di campagna, non più tardi di un mese fa ricordò a tutti: “Sono un po’ contadino e per noi sognare non è mai prudente”. Sognare, forse no… ma sperare in un gran raccolto dopo un gran lavoro e dopo due stagioni magre è d’obbligo. Anche per il contadino Spalletti.

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