Ridotte le sedi di Intesa San Paolo. Difficile anche “raggiungere” le postazioni per i prelievi di contante
“La banca” ormai è distante e prelevare soldi col bancomat è diventata una impresa, con maggior rischio – rientrando verso casa – di essere rapinati. Una anziana signora, poi, qualche giorno fa è andata alla filiale di via Merliani per accedere alla cassetta di sicurezza ma le è stato detto che era impossibile, in quanto in quel momento non c’era l’impiegato addetto ad aprire le cassette. Al suo posto, avrebbe potuto farlo un altro, ma gli altri dipendenti erano occupati e né in quel momento né per tutta la giornata era prevedibile che si liberassero. Allora la cliente è riuscita a contattare il proprio referente e gli ha chiesto un appuntamento, per essere accompagnata da lui ad aprire la cassetta (dove custodisce un oggetto che vuol donare alla figlia per Natale). E speriamo che sia la volta buona…
Disagi a non finire per gli utenti di Intesa San Paolo (ex Banco di Napoli) dopo la chiusura in contemporanea due mesi fa di quattro filiali del Vomero – piazza degli Artisti, piazza Muzii, via Girolamo Santacroce e via Aniello Falcone (vedi quotidianonapoli.it del 16 ottobre) – cui è seguita la chiusura delle filiali di via Tribunali, via Francesco Giordani (alla fine del corso Vittorio Emanuele) di via Manzoni e di via Crispi. Impiegati e funzionari d’esperienza sballottati da una filiale all’altra in attesa dei tempi per andare in pensione (o in prepensionamento). Sovraccarico di lavoro nelle restanti filiali, per cui è prevedibile che, anche in caso di urgenze (per esempio per il rinnovo di una carta bancomat smagnetizzata o perduta) bisognerà attendere per avere un appuntamento. Si immagini il disagio in occasione di scadenze fiscali, con rischio di assembramenti… Anche se le sedi principali (nella zona collinare: quelle di via Merliani e di via San Giacomo dei Capri) sono state ampliate e potenziate con l’arrivo di altro personale, proveniente dalle filiali che sono state chiuse.
La pandemia da Coronavirus è stata l’occasione per spingere al massimo l’acceleratore della digitalizzazione. Anche se, naturalmente, si nega la perdita di posti di lavoro… “I dipendenti non perdono il posto”, questo il ragionamento, “ma vengono ricollocati in altre filiali, in quanto già adesso i posti non sono sufficienti ad ospitare tutti gli impiegati e quindi parecchi dovranno lavorare in smart working”. Per esempio, in una filiale di 20 dipendenti con sole 15 postazioni (scrivanie), cinque impiegati a rotazione, ogni giorno, saranno in smart working… “Adesso c’è un canale diretto, la via informatica, per fare quasi tutte le operazioni. La gente va in banca solo in determinate occasioni”. Si va verso la digitalizzazione e questo ragionamento giustifica la chiusura delle filiali.
Per non dire dei tantissimi dipendenti mantenuti ancora a lavorare da casa in smart working dall’inizio della pandemia e cioè da due anni. Si tratta dei lavoratori “fragili”, invalidi o che hanno comunque delle patologie.
La banca risparmia (niente buoni pasto né indennità varie) anche se per questioni propriamente tecniche ci sono delle operazioni – il lavoro preparatorio per mutui, titoli – che da casa non si possono fare. La digitalizzazione spinge verso la marginalità soprattutto i più sprovveduti (i piccoli risparmiatori) e gli anziani con difficoltà a spostarsi e poco avvezzi alle operazioni per via telematica.
L’emergenza sanitaria è stata l’occasione per sperimentare – anche in altri settori – una organizzazione del lavoro “ibrida”, con attività in presenza e da remoto, decantando il beneficio per i lavoratori di essere svincolati da orari e luoghi fisici delle attività, l’opportunità di un migliore bilanciamento tra la vita privata e quella lavorativa e addirittura proponendo lo smart working come la soluzione al problema dei trasporti! Ma il lavoro è identità . E resta il tema della relazione: l’arricchimento umano e professionale, le idee, non nascono via email ma dagli incontri, dalla comunicazione.