Un libro-intervista sull’odissea di un manager torinese costretto a trasferirsi e a lavorare a Dubai
All’epoca il caso occupò a lungo la ribalta della cronache nazionali. Uno dei tanti scandali giudiziari finiti in una bolla di sapone, con tanto di calvario subito da parte dell’ennesima vittima di questo strano modo tutto italiano di amministrare giustizia.
“L’intervista. La verità sulle trame ordite contro il curatore della Tav” di Michael Weinberg, pubblicato dall’editore napoletano Graus (uno scoop nel panorama editoriale), è un romanzo d’inchiesta che vuole indicare l’altra faccia della realtà, quella deformata dalle indagini e infangata dal clamore mediatico, entrambi responsabili della demolizione dell’immagine pubblica di una persona innocente. È questo il punto di partenza del libro di Weinberg (pseudonimo dietro il quale si cela l’autore), consulente internazionale e noto commercialista piemontese, che ha scelto di non vivere più in Italia proprio a seguito dei problemi subiti per il caso Tav.
Il racconto, sotto forma di intervista, vede come protagonista Michele, costretto dai guai giudiziari a trasferirsi e a lavorare a Dubai. Lì incontra il giornalista Adriano, da sempre impegnato nella cronaca giudiziaria, e si lascia convincere, superando qualche remora iniziale, a ripercorrere tutta la vicenda che lo ha coinvolto per lunghissimi sette anni. Nella lunga intervista che ne scaturisce, portata avanti a ritmo incalzante, Michele riparte da quel 21 gennaio 2013, quando, a seguito del fallimento della società appaltatrice della Tav, fu indagato con l’accusa di aver perseguito interessi personali dietro la conduzione dei lavori di cui era il curatore. A quell’accusa se ne aggiunse poi un’altra, di turbativa d’asta.
Avvisi di garanzia, Interrogatori, indagini, perquisizioni, intercettazioni, due rinvii a giudizio, due condanne in primo grado (con il primo dibattimento che dura addirittura più di un anno) e poi in appello la fine dell’incubo. Assoluzioni piene, la prima addirittura con annullamento della sentenza perché lesiva del diritto alla difesa dell’imputato. Una vita sconvolta, il peregrinare tra sospetti, infinite perdite di tempo a controbattere, con l’ausilio degli avvocati, le contestazioni e soprattutto le insinuazioni. E a macerarsi nel disappunto per quel linciaggio mediatico così cinico ed infamante.
“Sono stato condannato per un presunto interesse privato, perché avrei prospettato ai giudici delegati delle due procedure un’attività del responsabile della sicurezza dei beni diversa da quella richiesta al coadiutore, cioè di vera e propria sorveglianza. E questa nomina sarebbe avvenuta sostanzialmente e prevalentemente per interessi miei propri…”, spiega Weinberg, che ripercorre con una fredda capacità di analisi tutte le tappe della sua vicenda, fatta di processi, alterazione dei dati, ricorsi in appello, fino all’assoluzione che lo conduce ad una nuova vita, costata, tuttavia, importanti perdite e conseguenze significative, sul piano psicologico, fisico, professionale.
Dal libro emergono il coraggio e la forza di reagire, andare avanti e crearsi una nuova vita. Ripartire da zero in un altro Paese lontano che, pur con usi e costumi diversi, ha saputo apprezzare la professionalità e le competenze di un uomo che dichiara di essere sempre stato dalla parte della giustizia.
Ora che tutto è finito con un’assoluzione che non lascia dubbi Weinberg ha deciso di scrollarsi il fango di dosso, di raccontare tutto. Lo fa mettendo in fila tutti i momenti più cupi della sua odissea. È un viaggio che si snoda dagli esordi della carriera professionale e che, attraverso indagini e condanne, arriva fino ai proscioglimenti. Il libro-intervista, che ha voluto affidare all’editore Graus, è per Weinberg come togliersi un grande groppo dallo stomaco. Per il lettore un lucido spaccato su uno dei nodi irrisolti di una giustizia italiana che, come dimostrano anche i recenti casi Mannino, Bassolino e Palamara, sempre più spesso assume i connotati dell’ingiustizia.