Parlando ancora di classici della letteratura di, e su, Napoli vogliamo questa settimana portare all’attenzione dei lettori un’opera straordinaria, rimasta per secoli inedita, e che è stata fonte informativa per tutti gli studiosi di storia e antropologia culturale napoletana, dal Giurleo al Croce, i quali ampiamente hanno attinto per sviluppare il proprio lavoro di ricerca, tal volta, senza neppure citare la fonte.
Parliamo dunque di Ritratto o modello delle grandezze delizie e maraviglie della nobilissima città di Napoli, opera in sette ragionamenti, scritta dall’aristocratico napoletano Gioan Battista Del Tufo, e diciamo in premessa che si tratta di un testo tutto in versi. Costituito cioè da un lungo poema che, al lettore moderno, potrebbe apparire anche un po’ stucchevole. Il libro risponde invero alla sensibilità del suo tempo ( è datato 1588), l’età del barocco, in cui su tutto dovevano trionfare lo stupore e la meraviglia. E tale è l’intento perseguito fin dal titolo: sorprendere con dettaglio e dilettevole ritratto luoghi, usanze, istituzioni, personaggi, carattere e cibi, della sua amata città, descritta ad un immaginario consesso di dame milanesi. A Milano, infatti, l’opera è stata redatta poiché l’Autore vi trascorreva, per complicate ragioni politiche, una, crediamo, dorata detenzione. Stante quindi uno stile non proprio scorrevole per il lettore contemporaneo, il contenuto bilancia ampiamente la difficoltà con piacevoli rappresentazioni di pratiche sociali, di nomi e luoghi che davvero ci calano in un tempo straordinariamente remoto mostrandoci, caso forse più unico che raro in letteratura, una meravigliosa fotografia del tempo, e poi rara, perché pochi altri luoghi, crediamo, hanno beneficiato di tale meticolosa rappresentazione.
Ivi allora possiamo misurare, per presenza o assenza, anche i modelli che rappresentano la cultura napoletana nell’immaginario moderno, e stupirà scoprire che molte categorie sono già affermate nel tempo dell’Autore. Partendo allora da quelle cui l’immaginario moderno è più affezionato, come per esempio l’ambito delle specialità gastronomiche, vi troviamo le zuppe di soffritto, i casatielli e le pastiere. E anche in ambito musicale leggiamo di una propensione già molto apprezzata al canto, e poi di danze corrispondenti alle tammurriate, ivi riportate come “sfessartia” la quale, ci informa il Del Tufo, essere forma musicale di origine maltese. Apprendiamo anche dei numerosi ospedali per la cura dei malati, in gran copia presenti nel territorio cittadino, e delle tecniche evolute in molti ambiti medici. E poi persino nomi e indirizzi dei medici stessi!
Con medesima precisione, e apparente competenza, il Tufo informa delle belle disposizioni urbanistiche e di luoghi ameni. Ma non trascura di esprimersi, anche, con aspra critica al governo del tempo e in specie a quella figura che più d’ogni altra ha segnato la politica napoletana in evo vicereale: l’odiato vicerè Pedro de Toledo.
Un libro davvero incredibile per quantità e qualità di informazioni dunque, e per questo ampiamente saccheggiato. E come spesso avviene per quanto riferibile alla cultura nostrale, i medesimi utilizzatori ne sono stati anche detrattori. E già, perché il “Ritratto” di Del Tufo, non avendo simili nel mondo italico, non poteva, per la storiografia letteraria, in chiave unitaria, rappresentare un primato di Napoli. Nella storia letteraria peninsulare Napoli – deve – essere sempre seconda, e se non c’è paragone per mancanza di concorrenti, allora l’opera deve per forza essere un prodotto irrilevante. In quest’ottica quindi, il capolavoro del marchese Del Tufo è diventato, come apprendiamo tra le righe dei suoi notabili detrattori, “un’insalata composta” (D’Ancona) con “argomenti (che ndr.) scaturiscono casualmente dall’istinto” (Contarino); in cui “si avverte l’eterogeneità degli argomenti” (Contarino). Poi, finalmente, dopo tanta supponenza arriva, in tempi recentissimi, una analisi critica favorevole, e seria, in cui si dice che « Visti […] alla luce della “vocazione enciclopedica” dell’epoca […] eventuali dissimmetrie e disordini devono essere letti come sinonimi di una irregolarità ubbidiente a criteri […] estetici, nel cui ambito […] anche le sequenze più irrelate […] (sono ndr) fondate sullo sdoppiamento-oscuramento semantico e sull’inversione e l’iperbato» (O.S. Casale p. XXV, Introduzione all’Opera, Salerno Editrice. Roma). Ma siamo appunto nell’evo barocco, e “Barocco” significa proprio “perla irregolare” criterio che più di ogni altro è presente all’Autore. Concludiamo questo ritratto del “Ritratto” del marchese Del Tufo aggiungendo – crediamo – un ulteriore motivo di interesse, rappresentato dal mistero della sua sorte, di un oblio durato per ben tre secoli, non spiegandoci le ragioni per cui, già pronta in manoscritto, non vide le stampe. L’opera fu invero pubblicata negli anni ‘60 del ‘900, ma così mal fatta da procurare più danno che beneficio ad un autore già bistrattato da una critica avversa. Finalmente, nel 2007, sotto l’egida e il contributo del Dipartimento di Linguistica, Filologia e Letteratura Moderna delle Università di Bari e del Salento, l’Opera ha visto la dignitosa pubblicazione che meritava, con adeguato apparato critico a cura delle studiose Olga Silvana Casale e Mariateresa Colotti, in una bella edizione per i tipi della casa editrice Salerno di Roma. Non si tratta di un libro propriamente economico, tuttavia vivamente suggerito a chi voglia procurarsi un’opera artistica e documentale davvero unica.
Ritratto o modello delle grandezze, delizie e maraviglie della nobilissima città di Napoli, G.B. Del Tufo; Salerno Editrice, Roma 2007.