Nell’opera lo scrittore partenopeo, Lorenzo Marone, racconta la Napoli degli anni 80 e la storia di un 12enne con un amico molto speciale
«Un ragazzo normale è una storia di crescita, è un omaggio all’adolescenza. Venivo da tutti personaggi con un vissuto dietro, con un trascorso difficile. Mi andava di scrivere di un personaggio che avesse una visuale davanti e non indietro».
Esordisce così Lorenzo Marone, classe 1974, napoletano, un passato da avvocato e un presente da scrittore, di successo.
Al centro dei suoi libri sempre Napoli: in La tentazione di essere felici (dal quale è stato tratto il film La tenerezza di Gianni Amelio, ndr) e in La tristezza ha il sonno leggero, editi entrambi da Longanesi, una Napoli “borghese” e spesso trascurata nei diffusi racconti sulla città; in Magari domani resto (Feltrinelli) una Napoli “ventrale”, quella dei vicoli, dei Quartieri. In Un ragazzo normale (Feltrinelli), il suo nuovo libro, la Napoli degli anni 80 e la storia di Mimì, un dodicenne un po’ ‘nerd’ con un amico molto speciale che crede essere un supereroe, con una Mehari verde al posto della Batmobile: Giancarlo Siani, il giornalista de Il Mattino, giustiziato dalla camorra nel 1985.
Com’è nata la voglia di raccontare una storia con Siani?
«Era da tempo che desideravo parlare di Giancarlo, non del giornalista però, non avrei aggiunto altro. Volevo parlare di Giancarlo come un ragazzo normale, dei suoi 25 anni, del suo vissuto intenso, del suo trasporto, della sua passione, della sua curiosità. Perciò quando nel racconto di Mimì, il protagonista, un ragazzino un po’ strambo con una famiglia che lo accoglie ma non lo capisce, è nata l’esigenza trovare per lui un punto di riferimento, qualcuno che lui sentisse tale, allora ho pensato a Giancarlo e ho unito le due cose».
I protagonisti dei tuoi libri sono personaggi che r-esistono e scelgono di farlo qui, in questa città. Che significa provare a esistere/resistere a Napoli oggi?
«I miei sono tutti personaggi che faticano un po’ a vivere, barcollano e hanno un trascorso difficile. In questo mi rappresentano – sono un’anima abbastanza inquieta – e a Napoli i valori dell’esistenza, della resilienza, di cui oggi tanto si parla, hanno ancora più peso, perché le cose sono più complicate. Nel mio caso poi, per chi come me vive di scrittura, di ispirazione e di creatività, il resistere forse ha ancora più valore, perché è una città che ti regala tanto, piena di contraddizioni, di sfaccettature, ma quando te ne allontani, almeno per me che sono sempre un po’ in giro, ti manca. Ti manca quella che è la nostra cultura del vivere, il nostro approcciarci alla vita che è solo una delle tante positività di Napoli, sempre soffocate dal nero».
La Napoli che racconti è una Napoli di speranza e non quella di Gomorra…
«Cerco di raccontare proprio questo: la parte sana di questa città – e ce n’è tanta – attraverso le piccole vite. Anche in questo libro, pur parlando comunque di camorra con Siani, è un qualcosa che resta a latere. Ciò che emerge è il bene, è Mimì, è la sua famiglia, è Giancarlo, persone costrette a resistere e a faticare ma con una grande moralità, con una grande voglia di migliorare il proprio pezzetto di mondo. Il messaggio del libro è proprio quello di cercare di utilizzare questo piccolo passaggio terreno per migliorarci, per fiorire, ampliando il nostro bagaglio interiore umano e culturale, così poi da avere la forza, la spinta per vivere con più coraggio, con più profondità, ma in un modo normale. Come Giancarlo, non un supereroe, ma un ragazzo normale».
Nel libro Giancarlo parla a Mimì del “dovere di dire quello che ci passa per la testa”, di farlo “per noi stessi” anche attraverso la scrittura che “ci permette di dire cose che forse a voce non saremmo capaci di dire”. Mimì ripensa a queste parole quando scrive la sua dedica sulla musicassetta che regala a Viola, il suo primo amore. Qual è stata per te la dedica più importante che hai fatto?
«Beh non saprei… a mia moglie ne ho fatte molte, stiamo insieme da tanto tanto tempo, ma forse quella più importante è quella del mio secondo libro, La tristezza ha il sonno leggero, perché stiamo parlando di storie ed è la prima dedica che ho fatto a mio figlio. Dice così : Non smetterò mai di raccontarti le mie storie. E di ascoltare le tue».