Lo Studio legale Rubinacci – Molaro spiega come è regolata la pensione al coniuge superstite
Questo mese, lo Studio legale degli avvocati Giovanni Rubinacci ed Andrea Molaro, torna ad occuparsi del settore della previdenza sociale, con particolare riferimento alla pensione di reversibilità e gli effetti previsti dalla Legge, qualora il coniuge superstite già titolare del trattamento, contragga un nuovo matrimonio.
La pensione ai superstiti consiste in una prestazione erogata ai familiari a carico dell’assicurato, nel caso di decesso di quest’ultimo. La si definisce di reversibilità nel caso di morte del titolare di pensione o indiretta in caso di morte dell’assicurato non ancora pensionato che al momento del decesso aveva maturato i requisiti prescritti dalla legge.
In entrambi i casi essa spetta qualora il lavoratore deceduto, non pensionato, abbia in alternativa maturato:
almeno 780 contributi settimanali (requisiti previsti per la pensione di vecchiaia prima dell’entrata in vigore del D. lvo 503/92);
– almeno 260 contributi settimanali di cui almeno 156 nel quinquennio antecedente la data di decesso (requisiti previsti per l’assegno ordinario.
I familiari beneficiari sono:
• in primo luogo il coniuge superstite, (anche se separato; il coniuge divorziato se titolare di assegno divorzile) ed i figli.
• a ben precise e residuali condizioni – in assenza di coniuge e figli – anche i genitori o i fratelli celibi e le sorelle nubili.
• i nipoti minori (equiparati ai figli) se a totale carico degli ascendenti (nonno o nonna) alla data di morte dei medesimi.
In mancanza del coniuge, dei figli e dei nipoti la pensione può essere erogata:
• ai genitori.
In mancanza del coniuge, dei figli, dei nipoti e dei genitori la pensione può essere erogata:
• ai fratelli celibi inabili e sorelle nubili inabili, non titolari di pensione, che alla data di morte del lavoratore e/o pensionato siano a carico del medesimo.
Il coniuge superstite matura, ove non vi siano figli, un diritto ad un trattamento pari al 60% della pensione che spettava (o sarebbe spettata) all’assicurato.
In assenza del coniuge, nel caso sia presente soltanto un figlio egli ha diritto al 70%; se i figli superstiti sono due la quota individuale è pari al 40%; se i figli sono tre (o più) il trattamento è pari al 100% della pensione e vi è riparto egualitario tra tutti.
In presenza del coniuge, fermo restando la quota del 60% ad esso spettante, il trattamento di reversibilità è pari al 80% in presenza di un figlio (cui spetta quindi il 20%), e al 100% in caso di più figli. 15% per ogni altro familiare, avente diritto, diverso dal coniuge, figli e nipoti.
Il diritto del coniuge spetta anche in caso di separazione legale. Inoltre nel caso di separazione con addebito il diritto spetta soltanto nel caso in cui risulti titolare di assegno alimentare (anche se alcune sentenze della Cassazione ampliano tale diritto, prevedendo che anche in presenza di separazione con addebito il diritto a pensione sorge in ogni caso).
Nel caso di divorzio il diritto sussiste se:
– l’assicurato è morto dopo entrata in vigore della l. n. 74/1987;
– il coniuge divorziato, beneficiario del trattamento di reversibilità, sia titolare dell’assegno alimentare e non sia passato a nuove nozze;
– la data di inizio del rapporto assicurativo sia anteriore alla sentenza di divorzio.
Qualora successivamente al divorzio, l’assicurato sia passato a nuove nozze, evidentemente si avrà oltre al coniuge divorziato anche un coniuge superstite. In questo caso vi è il diritto del coniuge divorziato ad ottenere una quota della pensione di reversibilità, dividendo il trattamento tra i due (o più) superstiti, in base alla durata dei rispettivi matrimoni e secondo un criterio di proporzionalità.
Il compito di ripartire il trattamento di reversibilità “compete” pertanto al Tribunale: l’Inps provvederà sulla base di quanto stabilito dal giudice.
Inoltre una norma del 1945 tutt’ora in vigore (decreto luogotenenziale n. 39/1945) prevede che al coniuge che cessi dal diritto alla pensione per sopravvenuto matrimonio spetta un assegno una tantum pari a due annualità della sua quota di pensione (considerando la tredicesima mensilità).
Più volte il legislatore ha infatti introdotto disposizioni intese a contrastare i “matrimoni di comodo” ma la giurisprudenza è sempre stato molto rigorosa nel garantire la piena libertà di contrarre matrimonio.