Feste, feste… il Carnevale è la festa del disordine, carnemlevare, eliminare la carne, festa pagana, che a Roma si legava ai Baccanali (in onore di Bacco, dio del vino, della vendemmia, dei piaceri dei sensi e del divertimento) ma soprattutto ai Saturnali (in onore di Saturno, dio del “disordine” e nemico dell’ordine precostituito, tanto che il giorno 17 dicembre, uno dei giorni Saturnali, gli schiavi godevano di totale libertà banchettando coi padroni dai quali erano addirittura serviti). Il Cristianesimo divenuto religione ufficiale non accettava “disordini” e lo trasformò in festa religiosa: si ripristinò solo in virtù dell’adesione ai 40 giorni successivi al martedì grasso, ultimo giorno di Carnevale, al digiuno di carne e al divieto di trasgredire sino al giorno di Pasqua. Che beffa. A Napoli, il Carnevale che iniziava sempre il 17 gennaio, nel giorno di sant’Antonio Abate (quando in suo onore si accendeva una catasta di legna – ò cosiddett cippo – che allegoricamente rappresenta tutte le cose brutte che devi bruciare), ha sempre avuto una rilevante importanza nei secoli precedenti ma oggi non è che una sbiadita fotocopia di un passato che è sempre più lontano corrotto da una società tecnologica e globalizzata e restìa a dare lustro alla nostra storia. Abbiamo notizie storiche della celebrazione del Carnevale sin dal 1450, in piena dominazione aragonese, quando vennero descritte dal marchese Del Tufo le feste in maschera. Maschere che un tempo significavano esorcizzazione degli spiriti maligni ma che successivamente, nelle corti nobiliari , erano solo un simpatico travestimento nei ricevimenti dove si danzava, si banchettava, si giocava a cavallo o si facevano battute di caccia. Nei brutti tempi sociali del vicereame spagnolo i festeggiamenti in maschera lasciati alla libera interpretazione del popolo ritornarono paganeggianti. Travestimenti e canzoncine ricche di doppi sensi, rappresentazioni osè di commedie popolari e scene reali di sesso libertino. Notizie storiche danno come data certa, nel 1656, l’apparizione del primo carro carnevalesco ricco di cibarie. Questo dono, lungi dall’essere semplice generosità, in realtà celava un meschino divertimento del benefattore che rideva alla vista del popolo pronto a compiere ardue e degradanti imprese pur di raggiungere il cibo. Scene anche violente tanto che i carri per ordine pubblico per taluni anni furono sospesi e sostituiti, dal lungimirante e grandioso sovrano Carlo di Borbone, da diversi alberi della cuccagna (cosiddetti pali di sapone, ovviamente resi meno accessibili per ovvie ragioni) sparsi per la città ma che seppur costellate da piccole tragedie consumate per colpa della miseria nulla tolsero al clima festaiolo e giocoso: coriandoli, canti e suoni di “putipù, scetavajasse e tricchebballacche”, tutti strumenti di chiara e nostalgica memoria napoletana. La maschera più popolare era ed è ovviamente Pulcinella (ricordiamo sposato con Zeza, originale diminutivo di Lucrezia), “Pulecenella” (Puccio d’Aniello, il nome di un contadino di Acerra) come la conosciamo oggi (anche se le sue origini si fanno risalire all’antica Roma), con due gobbe ed il naso adunco è stata inventata dall’attore Silvio Fiorillo nella metà del ‘500 , mentre il suo attuale costume, nell’800, da Antonio Petito. Altre maschere napoletane, presenti nella Commedia dell’Arte, sono quelle del balbuziente Tartaglia e dello scansafatiche Scaramuccia, ma quella più affascinante resta pur sempre la “Vecchia ò Carnevale”, una cosiddetta metamaschera perché in stretto connubio con quella di Pulcinella che metaforicamente rappresenta il vecchio soppiantato dal nuovo. E allora buon festeggiamento a tutti noi onorando le nostre tavole con ricche lasagne condite con ragù, polpettine, uova sode e formaggio, con le tracchiulelle nella salsa, con profumati migliacci (che altro non sono che torte fatte con lo stesso ripieno delle sfogliatelle) e con chiacchiere affondate nel sanguinaccio (che per motivi “igienici” è stato sostituito da una crema alla cioccolata). Evviva il Carnevale e che ben venga il rispolvero delle nostre tradizioni.
Carnevale a Napoli, tradizione fin dal ‘400
Un’antica festa popolare ormai globalizzata