Carnevale. Nati nella Commedia dell’Arte, i travestimenti servivano agli attori per fissare un personaggio e improvvisare sul palco
Non molto tempo fa, in questo periodo dell’anno nelle scuole napoletane, ma anche in tutta Italia, era un tripudio di cartelloni o ricerche su Arlecchino, Beppe Nappe, Colombina, Gianduia, il dottor Balanzone, Stenterello, Scaramuccia, Brighella e naturalmente Pulcinella e Tartaglia. Insomma le maschere regionali del Carnevale. Esse rappresentano il simbolo e l’identità di un territorio perché attraverso le loro caratteristiche e i segni distintivi si raccontano anche i vizi e le virtù di un popolo. Oggi si è persa questa consuetudine e un adolescente alla domanda “Chi era Tartaglia?”, così come gli altri già citati ad eccezione forse di Pulcinella e Arlecchino, nella maggior parte dei casi non saprebbe rispondere. I ragazzi attualmente scelgono altri costumi puntando su eroi dei fumetti, personaggi delle fiabe e dei film di animazione e in alcuni casi, per fortuna sporadici, imitando personaggi trash che non vale la pena citare perché si darebbe ai suddetti quel momento di celebrità seguendo l’erudita locuzione “Purché si parli”. Le maschere nascono dalla Commedia dell’arte, fenomeno tipicamente italiano del 1500, perché gli attori invece di recitare seguendo un canovaccio improvvisavano. Avevano dunque bisogno della fissità dei tipi e di lavorare sempre sullo stesso personaggio. Questi tipi fissi furono chiamate “maschere” cioè personaggi i quali più che da un autore nascevano dalla estrosità di un attore. Dall’uso teatrale derivò un significato più vasto che finì gradualmente a comprendere tutti gli attributi del costume e del carattere della singola maschera. Esse venivano divise in tre grandi gruppi: i vecchi, gli innamorati e i servi di cui faceva parte il nostro Pulcinella! Ghiottone ed egoista, intrigante e loquace ma anche malinconico, maschera nera con un gran naso, una gran palandrana bianca, un alto cappello a cono ed una parlata vivace ed estrosa. Incarna l’anima di Napoli con le sue contraddizioni: a volte comico altre tragico, o ancora affidabile e arrogante, ma sempre con la voglia di riscossa. Sulla sua origine ci sono diverse ipotesi. Chi dice che sia ispirata alle vicende quotidiane del contadino-attore Puccio d’Aniello, da cui Pulecenella, chi invece suppone che il nome derivi da pulcino (in napoletano pullicinu) per la dialettizzazione del nome in Pollicinella, il naso adunco che lo ricorda e la voce che la maschera riproduceva con lo stesso suono stridulo del gallinaceo. La maschera rispetto alle altre sue contemporanee ebbe un grande successo tanto che si diffuse in tutta Europa prendendo varie denominazioni come ad esempio Polichinelle in Francia, Punch in Inghilterra, Pulzinella in Germania, Tonelgeek in Olanda e don Christobal Polichinela in Spagna. Altra maschera napoletana è Tartaglia. Vecchio padrone balbuziente, da cui trae l’etimologia dialettale, con spesso la funzione di cattivo che però assume varie caratteristiche: può essere mercante ricco ed avaro, padre severo, consigliere buono e cattivo, irascibile e piagnucolone. Il carattere insomma cambiava ma non il costume che era composto da pantalone e camicione verde con strisce gialle ed una cintura al centro, occhiali, cappello e calzini bianchi. Zeza, diminutivo di Lucrezia, è la moglie di Pulcinella nella Commedia dell’Arte, non condivide l’atteggiamento del marito con il quale è spesso in conflitto. Oggi il suo nome è sinonimo di donna “civettuola”. A Napoli anticamente il Carnevale era molto sentito, le vie in quei giorni di festeggiamenti erano animate da canti popolari, balli e tanta ironia dai popolani che davano sfogo alla loro creatività creando nuove maschere con caratteristiche particolari che davano sfoggio della loro personalità. Eccone alcune: la maschera popolare del Capitano spagnolo che indossava una mantelletta, un cappello piumato, merletti a sbrendoli sulle scarpe e una spada. Di solito era l’antagonista di Pulcinella. Giangurgolo che appare nel 1618 e si distingue per il suo gusto alle oscenità. Don Nicola avvocato napoletano, vestito di tutto punto e preceduto dal suo servitore. Suo lontano parente è Paglietta calabrese anch’egli avvocato ma imbranato. Il Medico o Ciarlatano del Molo che aveva una lunga tonaca verde lunga fino ai piedi con ritagli in argento incollati sul bavero, sulle maniche e sulle falde e con calzoni corti. Suo simile è Cacciamole o Cavadenti dentista che indossava cenci eleganti e durante la parata operava qualche estrazione. Pasqualotto o Pascalotto, maschera presente tutto l’anno che aveva una grande agilità. Scaramuccia infine è una maschera creata dall’attore di origini napoletane Tiberio Fiorilli (o Fiorillo): essendo vissuto in Francia essa prese anche il nome di Scaramouche. L’attore fu anche grande amico di Molière.