“Alea iacta est”. Gabriele Gravina come Giulio Cesare quando varcò il Rubicone per la guerra dichiaratagli dal Senato di Roma, istigato da un invidioso Pompeo. E fu guerra civile. Ed è guerra “civile” fortunatamente incruenta ma dura tra il numero uno della Figc, sostenuto dal presidente della Lega di A, Paolo Dal Pino, una lega comunque… slegata, e il numero uno del Coni e dello sport italiano Giovanni Malagò, più vicino alla linea governativa, che ha accusato neanche tanto velatamente il calcio di essere fuori dalla realtà e di conseguenza anche il presidente della Figc di “navigare a vista” senza progettualità certa. E al di là della telefonata tra i due che pare più che chiarificatrice sia stata comunque molto calda, ognuno per difendere le proprie tesi, è palese, come già accaduto di recente per altre dichiarazioni di Malagò contro il sistema calcio, che i rapporti tra i due siano al minimo storico, per l’enorme differenza di interessi da difendere e che non sembrano, onestamente, possibili da conciliare proprio per la profonda diversità della posizione del calcio, un mix ormai imprescindibile di industria, affari e sport, con le altre federazioni e discipline sportive.
E se Malagò ha sicuramente ragione nel sottolineare la pari nobiltà e di diritti tra tutti gli sport, affermando di non comprendere né condividere la linea scelta dal calcio di volersi sentire “privilegiato” rispetto a tanti altri sport (con esplicito riferimento al nuovo e dando ragione alle parole di Federica Pellegrini, ndr), anche Gravina ha buona parte di ragione nell’insistere con ostinata tenacia per voler chiudere comunque la stagione 2019/2020 disputando le rimanenti giornate di campionato ad onta delle profonde decisioni interne alla stessa lega di serie A sulla questione, avendo ben chiaro il concetto che se così non fosse, per un qualsiasi motivo, si aprirebbe una serie impressionanti di ricorsi e rivendicazioni senza contare poi del numero di club che fallirebbero dalla A alla serie C. A chi giova dei due questo atteggiamento tanto critico verso l’altro? Malagò, direttamente o indirettamente più vicino alla posizione del ministro dello Sport, Spadafora, con il quale si è spesso intrattenuto a colloquio sulle attuali difficoltà dello sport italiano e del calcio professionistico dovute all’emergenza, è sicuramente più legato ad una visione politica e di gestione globale dello sport nazionale, per cui non può accettare un calcio che rivendichi dei privilegi rispetto alle altre discipline. Gravina, dal canto suo e dalla sua posizione di numero uno di una federazione che, volente o nolente, è il volano dell’intero movimento sportivo italiano, fornisce invece alla sua linea una chiave di lettura economica e sociale del fenomeno calcio come industria e spettacolo che, partendo dalla premessa del fondamentale e primario rispetto e tutela della salute degli atleti, deve tuttavia chiudere in modo regolare la stagione 2019/2020 appena ci saranno le condizioni sanitarie per poterlo fare, evitando così la compromissione anche della successiva stagione. Aspetti diversi, come si vede, ma che fanno parte della stessa medaglia, e faccio fatica, onestamente, a dire quale dei due protagonisti di questa strana querelle abbia più ragione dell’altro. E mi sembra strano, però, che Malagò almeno parzialmente non venga incontro a Gravina che sta lavorando sodo per conciliare gli opposti interessi tra le tre leghe e addirittura tra gli stessi presidenti della lega di A.
Una chiarificazione, la necessità di trovare un punto di convergenza comune, è indispensabile per far ripartire il calcio ma anche per riportarlo sui livelli di assoluta dignità come sport e non solo come mero business. Tra uomini di esperienza e di cultura, non solo sportiva, questa guerra tra prime donne che sembra improntata più al “chi sei tu e chi sono io” piuttosto che al bene comune dello sport italiano, davvero non la comprendo perché può portare solo ulteriori divisioni e danni. Magari con un nuovo intervento duro e assai poco costruttivo del mondo politico, a tutto svantaggio del calcio e dello sport in genere. Uno scontro, quello non solo dialettico tra Malagò e Gravina, dal quale, al momento, è difficile capire chi e perché vincerà, e dal quale potrebbe uscirne sconfitta l’immagine dell’intero sport italiano. Anche perché l’arbitro di questo scontro non sono né le leghe, né la politica, né il comitato medico scientifico del calcio o l’Istituto superiore della Sanità ma il Covid-19. Giudice unico, e purtroppo truce e spietato, non del futuro del calcio o dello sport, ma delle nostre stesse esistenze e di quelle di oltre 22mila vittime che hanno perso la partita più importante: la vita! Riflettessero bene Malagò e Gravina.