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Il gap italiano con i top club europei

Le notti d’ Europa, nonostante i progressi e la strada della gioventù intrapresa da Mancini con la sua nazionale, hanno confermato il gap ancora esistente tra i nostri top club e i club europei, anche quelli di non primissimo livello, come hanno dimostrato l’eliminazione della Juve da parte del Porto e ancor prima quella delI’Inter finita addirittura ultima nel proprio girone di Champions League e uscita definitivamente dall’Europa pedatoria. Il discorso, ovviamente, riguarda anche il Napoli che dopo un faticato ma buon girone di Europa League s’è arreso al Granada, squadra spagnola che gravita nel suo campionato a centroclassifica.
Questa mediocrità delle nostre formazioni che non vincono in Europa da oltre dieci anni è da individuare, a nostro avviso, nella non volontà di investire con convinzione sui giovani da crescere in casa, non tutti necessariamente italiani, creando una scuola calcistica con forte radici nazionali, organizzata in modo capillare e in grado di produrre giocatori di talento, veri. L’Atalanta, sotto questo aspetto, è l’unica vera eccezione in un panorama che solo a tratti punta sui giovani da coltivare e far crescere in ottica prima squadra. E non a caso la società dei Percassi, padre e figlio, è diventata una realtà del calcio non solo italiano. Altrove, vedi Olanda, Germania, Spagna, se sei bravo, a 17 anni già ti mettono in prima squadra perché lì non è il nome che fa curriculum ma il talento, seppure acerbo ma da plasmare. In Italia le eccezioni, laddove in altri paesi è regola, sono davvero poche. L’Inter ha lanciato Bastoni, ha investito sulla grinta e tenacia di Barella ed è andata ad assicurarsi il giovane ma già talentuoso Hakimi. Il Milan sta risorgendo avendo puntato su giovani talenti stranieri ma talenti del vivaio non si sono ancora imposti alla corte di Pioli. La Juventus, con Pirlo, giovane allenatore, dopo un periodo di magra che ha portato in bianconero giocatori strapagati o parametri zero con ingaggi da nababbi, che non si sono rivelati adatti né al calcio di Sarri né a quello dell’ attuale tecnico, ha avuto il coraggio di mandare in campo giovani come Frabotta, Fagioli, Portanova ed altri, con buoni risultati, ed alcuni sono finiti in prestito ad altri club di A, spinto anche dalle necessità di rigore finanziario della società. Un inizio per ricominciare a coltivare il talento da crescere in casa. Il Napoli, di tutti i club importanti è quello che meno ha creduto e puntato sul settore giovanile in ottica di prima squadra. non a caso Insigne, a 30 anni, resta ancora l’unico fiore all’occhiello della gestione De Laurentiis. Altri ragazzi, molti dei quali già ex giovani con un brillante avvenire dietro le spalle, parliamo di Tutino, Palmiero, Gaetano, Luperto, gravitano senza infamia e senza lode in squadre cadette, a fare una gavetta… infinita e senza sbocchi in azzurro. Perché De Laurentiis abbia ghettizzato il settore giovanile con uno scouting inesistente, facendo retrocedere la Primavera nel torneo nazionale di secondo livello, dovrebbe spiegarcelo. Non è, quello da lui utilizzato, un modello d’impresa accorto e lungimirante da vero e appassionato proprietario del club… Ma lui lo è?

Ora più che mai, con la pandemia che ha sconvolto e stravolto tutte le regole sulle imprese e sugli investimenti, sarebbe stato necessario e salvifico un progetto tecnico che da una forte e solida base arrivasse ai vertici del club innestando in prima squadra giovani cresciuti e fidelizzati con la maglia azzurra. Non è stato e non sarà così nonostante le amenità e le promesse di “Cantera” e “Scugnizzeria” varie del presidente. E in estate scopriremo il danno che tale miope politica si riverserà sul Napoli anche se Gattuso, con un colpo di coda, riuscisse ad agganciare un posto Champions. Sarà ridimensionamento su tutti i fronti, altro che Allegri o Spalletti… Si dovrà ricominciare da zero, reiventando un progetto che non è mai esistito realmente e non ha mai puntato sulla crescita di talenti utili alla causa azzurra. Si dovrà e potrà investire su giovani sbandierandoli come promesse, magari già ex come tali, puntando a mantenere il Napoli in linea di galleggiamento ma senza alcuna speranza, se non cambiando proprietà e mentalità, di un futuro vincente nei fatti.

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