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Gattuso, l’umiltà del vincente

I molti pregi e i pochi difetti del tecnico che sta rilanciando il Napoli

Questo Gattuso che dice pane al pane e che fa sfoggio di sicurezza ci piace. Ha ereditato un Napoli allo sfascio e con la sua saggezza di meridionale venuto dal nulla, che si è fatto da solo, seguendo gli adagi e i consigli dei nonni (“muru muru cu u spitali), lo sta lentamente riportando nelle posizioni nobili della classifica. Ha subito compreso, sveglio com’è, che il problema stava nello spogliatoio, e lì ha cominciato ad intervenire con discorsi chiari ai suoi giocatori. Qualche muso lungo, certo. Ma alla fine li ha tirati tutti dalla sua parte, compreso Allan, che era il più riottoso.
Ha rivoluzionato il modulo di gioco, adattandolo alle avversarie. Non un solo sistema, come gli azzurri erano maniacalmente abituati a fare con Sarri, né tanto meno il fumoso 4-4-2 di Ancelotti, che per sua stessa ammissione tale lo era solo in fase difensiva e che in fase d’attacco diventava poi qualcosa di diverso, ma anche di imprecisato e di vago. Oggi è tutto chiaro: quando bisogna far risultato, contro le grandi, squadra compatta sulla difensiva, con 5 uomini a far da barriera a centrocampo e un solo attaccante. E tutti pronti a scattare in contropiede. Barcellona, Lazio, Juventus ed Inter ci hanno rimesso le penne. Poi, guadagnati un po’ di punti in classifica, contro le medio-piccole si può azzardare anche una condotta più garibaldina e il Torino ne ha pagato le conseguenze.


Insomma un Gattuso oggi super-star, che è riuscito nell’impresa di risollevare una squadra che sembrava morta, colpita al cuore nella sua cittadella inespugnabile, il San Paolo, da Lecce e Parma, ed anche da Fiorentina, Inter e Bologna. C’era qualcuno che già presagiva un’emorragia senza fine, con lo spettro della serie B in fondo al viale. De Laurentiis, che pure si era affidato ad Ancelotti con la certezza di farne il suo alter ego per una decina d’anni, di fronte all’evidenza si era arreso. Ed aveva scelto l’unico grande motivatore disponibile su piazza. Facendo chiaramente intendere che bisognava uscire dal guado e che quel motivatore era una scelta tattica, imposta dal momento. Solo sei mesi di contratto, a giugno si vedrà. Ora Gattuso, con i risultati, lo sta mettendo in difficoltà. Ma Ringhio sta correndo anche dei rischi. Perché, inesperto com’è, sull’onda dell’entusiasmo, si sta lasciando andare, tanto per dire, a qualche dichiarazione che potrebbe alla lunga ritorcersi contro.
“Io scelgo chi deve andare in campo sulla base del risultato che mi prefiggo, non sono un aziendalista”. Oggi va bene. Ma domani potrebbe non essere un fiore all’occhiello da esibire al tavolo di un’ipotetica trattativa per il rinnovo. L’errore che sta commettendo con Meret è sotto gli occhi di tutti. Il ragazzo è un patrimonio della società, De Laurentiis lo ha pagato 30 milioni, quasi una follia per un giovane portiere italiano. Preferirgli Ospina sol perché “gioca meglio con i piedi”, quando un portiere deve “giocare meglio con le mani” è un’assurdità che il buon Rino può pagare cara. Così come appare chiaramente in difficoltà quando deve operare i cambi.
La tomba di Ancelotti è stato il centrocampo. Carletto voleva affrontare campionato, Champions e Coppa con Allan, Fabian e Zielinski. Anche un allenatore di seconda categoria avrebbe capito che con quei tre non sarebbe andato da nessuna parte. Tanto è vero che Gattuso ha preteso ed ottenuto due registi, seppur con caratteristiche diverse, come Demme e Lobotka. Ebbene il buon Rino predica bene e razzola male. Che ti fa contro il Torino? Toglie Lobotka, affaticato, ed inserisce Allan, ricostituendo il centrocampo che fu esiziale per Ancelotti. Errore da matita blu. E vogliamo ricordare tutte le perplessità che ha suscitato in più occasioni con cambi apparsi all’unanimità degli osservatori come incomprensibili?
Insomma se vuole guadagnarsi la pagnotta a Napoli anche per il futuro è bene che impari ad essere un po’ più aziendalista e un po’ più sveglio nella conduzione della squadra durante le fasi di gioco. Per ora i risultati gli danno ragione, ma per guidare il Napoli a certi livelli servono anche esperienza, acume e diplomazia. E Rinuccio nostro, appena arrivato, per nulla memore della sua esperienza sulla panchina del Milan, qualche errore clamoroso lo ha commesso persino con i rappresentanti della stampa.
Credeva forse, di essere arrivato a contatto con la periferia del mondo dell’informazione e si è esibito in un grottesco tentativo di ramanzina sulla deontologia professionale dei giornalisti, che non stava né in cielo né in terra. Roba da “muru contro muru”. Speriamo che lo abbia capito.

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