NORMALE: anche quest’anno ci proveremo l’anno prossimo. A far che? A tentare di slegarci da quello stereotipo, figlio di un complesso di inferiorità (calcistica) atavico, che ci vede provare un sentimento esplosivo ogni santa volta che facciamo il mazzo a quelli lì. E sì che ormai accade molto più spesso del contrario, per cui dovremmo cominciare a pensare sul serio che sia un fatto normale e non una eccezione saltuaria ad una sequenza di scotoliate. Abbiamo passato decenni ad essere ricacciati in un angolo a riflettere e crogiolarci nel vittimismo del popolo usurpato dai Savoia e depauperato dalla campagna garibaldina con la scadenza bi-annuale del calendario calcistico, decenni in cui dove non arrivava lo strapotere tecnico dopato da finanze sconfinate, a loro volta rimpinguate da generosissime elargizioni statali, ci pensava la longa manus di qualche Moggi a caso ed altre nefandezze ormai passate in giudicato. Oggi di quella corazzata restano i debiti, una classe dirigente non all’altezza ed una ridotta disponibilità della politica al traffico di influenze, dovuta probabilmente al gran numero di riflettori puntati addosso per i misfatti venuti a galla negli ultimi quarant’anni. Il calcio sta radicalmente cambiando e la Juventus è una squadra “normale” che potrebbe anche smettere di meritare quella avversione viscerale che si dedica al tiranno. Che non si tratti di un ciclo negativo isolato e temporaneo che riporterà i bianconeri al dominio assoluto nel giro di qualche tempo, non ci è dato saperlo al momento. La svolta plutocratica del mondo occidentale che vede Gianni&Pinotto edizione nero/arancione, in procinto di decidere le sorti del pianeta per i prossimi anni, potrebbe ridare vigore alla squadra di calcio più strettamente legata all’intreccio politica-finanza. Ma potrebbe anche accadere che la nuova rivoluzione socio-politica rimetta nei ranghi il team, riportandolo definitivamente e per la prima volta da un secolo, a giocarsela alla pari e con le sole forze degli uomini che ci lavorano, come sta accadendo negli ultimi anni.
Per tornare al discorso iniziale, arriverà un tempo in cui vincere con la Juve sarà come battere il Sassuolo, ma per il momento lasciatemi dire: AAHHAJJAJJAAAAAAJAAHUAAAAAAAJJJAJJJAAAUAAAAAAHHHJJJAAAAAA!!!!!!!
NAPOLETANO: moltissimi di noi, all’annuncio della contrattualizzazione di Conte con il Napoli, hanno storto il naso. La stragrande maggioranza di coloro che lo hanno fatto (chi scrive è tra essi), hanno avuto questo atteggiamento puramente per l’antipatia che quest’uomo aveva appiccicata addosso proprio per l’essere stato bandiera juventina. Qualche dubbio lo portava con sé inoltre il fatto di essere notoriamente portatore di un calcio molto fisico e poco divertente. Unica cosa su cui si era tutti d’accordo, compresi i detrattori più radicali, era il fatto che si trattasse di un motivatore senza pari al mondo. Questi sei mesi da tecnico del Napoli ci dicono tantissime cose proprio in merito alle considerazioni appena fatte: l’antipatia si è miserrimamente disintegrata già alla prima volta in cui si è visto Conte esultare per un gol dei nostri all’alba del campionato, ma vedere i suoi spasmi di godimento scomposto al gol del pareggio del suo pupillo Anguillone, il primo gol inflitto da allenatore del Napoli alla sua squadra “del cuore” (visto che all’andata finì 0-0), ha dato una manata definitiva ad ogni dubbio vi fosse rispetto al suo calarsi totalmente nel progetto. Conte, quando firma un contratto, non diventa allenatore di una squadra, ne diventa intimamente tifoso. Assorbe completamente lo spirito di quella squadra e della situazione che sceglie di vivere. Lo ha fatto con ciascuna delle squadre che ha allenato. Per il momento va considerata questa come una realtà modificabile a seconda del momento, per cui non sorprenderà il vederlo esultare scompostamente quando in futuro si troverà a giocare contro di noi. Ma c’è un dettaglio dovuto proprio al suo scegliere di vivere le proprie esperienze in maniera totale: al di là degli stereotipi, Napoli è davvero una città che ti avvolge. Soprattutto quando, come nel caso dei calciatori e degli allenatori, è una esperienza a tempo, che non ti costringe dunque a vivere quotidianamente gli asfissianti limiti di educazione civica che purtroppo restano ancora dominanti. Chi ne vive le sfaccettature avendo sempre la possibilità di una via di uscita, tende ad innamorarsene, dando una collocazione marginale dei difetti che la caratterizzano. Conte ha scelto di vivere a Piazza dei Martiri, ha scelto di girare per la città, ha sentito da subito l’orgoglio dell’appartenenza del meridionale che aspira alla cancellazione del gap economico che un uomo del sud non può ignorare in alcun modo, per quanto tifo possa esprimere per una squadra capace di essere slegata dal luogo fisico in cui gioca, come accade per l’Inter, il Milan e, appunto, la Juve. Come paventavamo su questa rubrica ad inizio campionato, oggi sembra talmente dentro che potrebbe perfino vacillare l’associazione automatica che lo vede scolorirsi verso il bianco e nero ogni volta che lo si guarda in faccia. Temo per lui che alla fine della sua esperienza a Napoli, pur continuando a non cedere al coro “chi non salta è Juventino” e ad amare la Juve come parte determinante del proprio passato, diventerà un altro di quelli rimasti invischiati nella meraviglia che fa diventare gli ospiti di questa città, un po’ napoletani per sempre.
Quanto al calcio molto fisico e poco divertente, temo che anche in quel caso si sia trattato di un pregiudizio, perché il vedere i nostri calciatori solidi ancora dopo il giro di boa, rende molto piacevole lo spettacolo, a maggior ragione e ovviamente, alla luce dei risultati. Portando questo concetto all’estremo, il piacere diventa orgasmo quando la parte atletica si trasforma in
ARRAGGIO: Simeone che striscia tra i piedi di tre avversari lanciandosi con la faccia sul pallone per passarlo al compagno da posizione prona, era più un tentativo di martirio che una azione da giuoco del calcio; Politano, ormai più prossimo al rigor mortis che alla presenza atletica, che rincorre il nuovo messia bianconero – futuro autore di 716 gol nelle 16 partite che giocherà con la sua nuova squadra – fino a strappargli la palla al novantesimo e dare compimento al rigor mortis di cui sopra, non senza aver lanciato un urlo tanto liberatorio quanto mortifero; Lukaku che va a muso duro contro Gatti che per la prima volta nella sua carriera non aveva fatto alcuna scorrettezza; Anguillone che ormai è presente nell’inquadratura più del pallone stesso e ti aspetti che mentre sta facendo un taglio in diagonale a centrocampo ti tozzoléi alle spalle per portarti il caffè; JJ rinato e perfetto; McT primo per chilometri percorsi in ogni santa partita; Neres che fa una fase difensiva che due mesi fa non si poteva neanche immaginare, e via andare con tutti i calciatori che sembrano arraggiati oltre l’inverosimile.
Alla fine non si può non essere d’accordo con quello che Politano ha detto a Conte nel momento di massima euforia: “Mistèr, ma comme spaccimma simm’ fort’!” (lo so che non lo ha detto in napoletano ma nella mia testa suona così)