OSCENI: ci siamo cascati alla grande. Più o meno tutti, nonostante qualche sparuto residuo di scaramanzia dovuta più che altro a fattori genetici, abbiamo cominciato a fantasticare troppo presto su qualcosa che era ed è tutt’altro che scontata, dimenticando un dettaglio che evidentemente in molti tendono a considerare secondario rispetto alle probabilità di successo: giochiamo veramente di merda. Essere vincenti giocando di merda non è una prerogativa né una novità. Ci si sono fatte ricche intere generazioni di allenatori e si è perfino coniato un neologismo prima e una dicotomia poi. Il “risultatismo” tanto caro alla juve pragmatica dei nove scudetti consecutivi, contrapposto al “giochismo” di Guardiola che ha avuto ottimi interpreti anche dalle nostre parti. Ma entrambe le scuole di pensiero affondano le radici nella storia antica del calcio romantico di cui Italia e Brasile sono stati gli estremi opposti. Noi napoletani, della versione spettacolare, veloce e divertente, ci siamo riempiti gli occhi prima con Sarri e poi con Spalletti, salvo poi, messi alle strette dalla penuria di altri “profeti” all’altezza di esprimere in maniera decente questa filosofia calcistica, tornare a questa concretezza fatta di sudore e sangue e sofferenza e fibrillazioni continue che da tifosi avremmo sinceramente lasciato ad altri. Le partite del Napoli di quest’anno sono la stessa schifezza di quelle dell’anno scorso dal punto di vista dello spettacolo. Certo, la differenza sostanziale è che Conte riesce a dare un’organizzazione difensiva migliore del trio di pippe che lo scorso anno ci ha regalato un Napoli da fare invidia a quello di Pasino e Dionigi e poi la rosa della madonna che ha la nostra squadra, quest’anno ha giocato al 70% delle proprie possibilità contro il 20% di quelle espresse lo scorso anno per scazzamento post sbornia. Ma resta il fatto che anche quest’anno giochiamo di merda. E quando si gioca di merda il rischio del siringone è sempre dietro l’angolo. Si fatica a trovare una partita del Napoli di quest’anno in cui lo stato d’animo post partita sia stato di piena e totale soddisfazione. Perfino quelle poche vinte con 2 o 3 gol di scarto.
PROPEDEUTICO: restano due partite e paradossalmente, aver pareggiato con una squadra di metà classifica ormai scarica da tensioni perché salva e senza nulla da chiedere al campionato, potrebbe perfino essere propedeutico alla causa. Meglio avere l’obbligo di vincere piuttosto che avere questo cazzo di “bonus pareggio” che pareva messo apposta in bocca ad avversari e giornalisti per creare quella tensione nervosa che ci è costata la solita partita fatta di strizza e recriminazioni. Ciò che è incredibile è che nulla è cambiato e l’obiettivo è ancora, incredibilmente, a portata di mano. Il punto è che devono finire i sabotaggi dell’allenatore, che continua a gestire da schifo la comunicazione, prima, durante e dopo le partite. Ancora una volta lì ad accampare scuse, a scaricare colpe e a non assumersi responsabilità in maniera seria e credibile. Ma molte delle responsabilità del pareggio di ieri sono sue e solo sue. Non ci lanceremo come non abbiamo mai fatto in analisi tecniche. Quelle le lasciamo a quelli che sanno e a quelli che credono di sapere. Moduli, ruoli ed espedienti tattici sono competenze specifiche di chi fa quel mestiere e noi ne facciamo un altro. Ma analizzare la comunicazione e azzardare qualche ipotesi su alcune valutazioni di opportunità, come quella di aver rischiato Lobotka e la sua salute fisica, queste sono cose che crediamo di poterci permettere. Se c’era un ruolo che consentiva di non rischiare, era proprio quello del playmaker. Gilmour è sicuramente una delle riserve migliori che abbiamo e ieri non si giocava col Real o col PSG. E infatti il ragazzo scozzese ha fatto bene il suo mestiere. Al netto della bruttezza della partita e del nostro gioco, i due gol presi sono stati una colossale botta di culo del Genoa e sono stati anche abbastanza casuali, quindi preferire un Lobotka semirotto ad un Gilmour smanioso, è sembrato un modo per sminuire il ragazzo alla stessa stregua di quando qualche settimana fa se ne uscì con la considerazione che Rafa Marin avrebbe giocato il giorno successivo perché costretti dalla matematica. Avrebbe fatto prima a dirgli: “sei un cesso di calciatore ma sei l’unico tocco di merda secca da usare per la fionda”. Per fortuna sia Marin che Gilmour sono migliori dell’allenatore che hanno
BRIVIDI: parlavamo della casualità dei gol del Genoa ed abbiamo già letto da diverse parti che il rimpallo che ha trasformato il tiro di Ahanor in autogol di Meret, renda quest’ultimo colpevole della marcatura. Sfiga, quella è stata solo sfiga… non si può controllare al 100% il proprio corpo quando la dinamica lo rende fisicamente impossibile. Il problema sorge quando la dinamica è totalmente controllabile, quando si deve costruire il gioco dal basso, quando si deve uscire dall’area per partecipare alla fase di impostazione, quando si deve uscire fuori dall’area piccola per prendere un cross. Ecco, è lì che Meret è un generatore termonucleare di smottamenti intestinali. L’insicurezza che trasmette quando ha il pallone tra i piedi è devastante. Eppure diciamo che la sua quantità di cappelle nel corso degli anni non è mai stata tanto al di sopra della media. E allora perché c’è questa sensazione di “oilloco” che ci pervade ogni volta? Gli si vuol bene davvero perché è stato determinante in tantissimi frangenti ed è uno dei più meritevoli nella vittoria dello scudetto. Ma forse è arrivato il momento per lui di riflettere sulla possibilità di essere ricordato da eroe. A maggior ragione se si dovesse compiere l’impresa quest’anno
