Home Calcio Napoli Dammi tre parole: il focus sulla settimana azzurra…

Dammi tre parole: il focus sulla settimana azzurra…

La partita di ieri è stato un giro sulle montagne russe e ha dato ancora una volta un’idea chiara sulla possibilità di prendere delle clamorose imbarcate se ci si trova davanti un attacco di livello da medio-alto a salire.

 

COMPATTEZZA. Lazio, Fiorentina, Real e Milan ci hanno somministrato 10 siringhe in forma di gol. Per renderci conto dell’unità di misura, lo scorso anno il decimo gol lo abbiamo preso alla tredicesima di campionato, il Napoli di Sarri lo prese alla quindicesima. Se proprio non vogliamo prendere il dato delle sole quattro squadre più “forti” incontrate finora, quest’anno il decimo gol in campionato lo abbiamo preso all’ottava. I paragoni non sono affatto una considerazione nostalgica ed un rimpianto dei tempi andati, ma solo la dimostrazione evidente che c’è un problema cui non si riesce a dare una risposta adeguata. Siccome siamo tutti abituati a considerare tra le “colpe” le sole variabili semplici, perché i tifosi non amano impegnarsi nei ragionamenti ma solo nelle invettive, cominciamo a sgombrare il campo dalla mancanza di Kim e di Koulibaly, perché l’uomo che ha preso il loro posto oggi è quello che sta dimostrando maggiore solidità. Forse il problema è esattamente questo, che l’unico giocatore diverso tra difesa e centrocampo rispetto allo scorso anno è l’unico che si sta guadagnando la pagnotta, mentre tutti gli altri, ma proprio tutti, sono almeno un paio di tacche sotto i loro standard minimi. Meret sembra tornato quello di due anni fa con buona pace di quelli come me che l’anno scorso hanno elargito a destra e a manca dei fragorosi vaffanculo di ritorno a coloro che lo avevano insultato in passato. Rrahmani disattento a ben trattarlo, Mario Rui e Olivera sotto tono, Lobotka sempre fortissimo ma sempre più imbrigliato, Anguissa a fasi alterne, Elmas evanescente e confusionario e perfino highlander Di Lorenzo appannato. Tra difesa e centrocampo solo Zielinski sembra mantenere e perfino superare gli standard dello scorso anno. Questo calo dell’attenzione si traduce in un Napoli che per larghi tratti di tutte le partite viste finora, in clamorosi “buchi” di densità a centrocampo e in palle gol offerte agli avversari in difesa. Il monolite visto nel passato recente che dava quella sensazione di infrangibilità è sfumato completamente e sembra davvero di difficile ricostruzione, ma resta il fatto che la squadra, a livello di potenziale individuale sembrerebbe essere ancora la più forte del campionato.

 

E qui vengo, con rammarico e dopo strenue difese e imponenti litigate, all’amara considerazione che l’attuale guida stia progressivamente e inesorabilmente perdendo quella capacità di incidere che i suoi predecessori hanno potuto acquisire molto più a buon mercato di lui, non avendo dovuto ereditare altro che una buona linea di galleggiamento.

 

INADEGUATEZZA. Continuo a sostenere che Garcia non sia un allenatore scarso e sarei un idiota se lo facessi (lo so, sto dando dell’idiota a qualche centinaio di migliaia di persone). Non si arriva ai suoi livelli se non si capisce di calcio quindi, come già detto in altre occasioni, si tratta solo di un problema di adattamento al contesto. Probabilmente è una questione caratteriale, probabilmente arrivare dopo un’ubriacatura come quella dello scorso anno è stato un atto di incoscienza o, più probabilmente, di presunzione. Ancor più probabile è che gestire 20 calciatori che hanno già guadagnato la propria ricchissima dote di racconti da fare ai nipotini sia un’impresa improba. Se di 20 solo due rendono meglio dello scorso anno (Zielinski e Politano) e un altro paio si tengono sugli stessi livelli (Kvara e Lobotka) e tutti gli altri calano di rendimento, l’unico modo che hai per “rimettere la chiesa al centro del villaggio” è quella di imporre un ego clamorosamente enorme. Garcia non ce l’ha per una serie di motivi, peggiorati dalla situazione contingente. Parto da una banalità che potrebbe sembrare una forma di discriminazione ma che, giuro, non lo è e chi “mi sa” può facilmente testimoniare sulla mia incapacità a considerare una persona meglio di un’altra per motivi territoriali, di religione o di sesso. Infatti in questo caso non si tratta di “meglio” o “peggio” ma di adattamento alla necessità contingente.

Spiego meglio.

Mettete un francese e un tedesco uno di fianco all’altro e fategli pronunciare un discorso incazzato di quelli da bava alla bocca e poi venitemi a dire quale dei due incute più timore reverenziale. Garcia, suo malgrado, anche quando si incazza sembra un gagà di fine ‘800. Questa forma di eleganza involontaria e di signorilità congenita ottengono, in tempi di vacche magre, il risultato di sembrare spocchia e distacco. Ma in questo caso la colpa non è di Garcia. Per rendere meglio l’idea, provate ad immaginare il famoso discorso di Trapattoni quando era al Bayern (quello in cui cresimava il suo centrocampista Strunz) fatto in francese. Ecco, quando avrete finito di ridere vi sarà chiaro cosa intendo. A questa involontaria carenza di credibilità si aggiunge quella dettata dalla sua incapacità di tenere a bada i malumori dei calciatori. Una incapacità talmente manifesta, da aver reso necessaria l’unica cosa che la trasformasse in irreversibile, cioè l’intervento del presidente a presidio del contesto. Un po’ come se il nonno si trasferisse a casa del figlio per gestire i nipoti indisciplinati. Il sigillo in ceralacca sulla considerazione che si tratti di un povero cristo senza palle.

Quanto desidererei aver scritto un mare di cazzate e ritrovarmi a doverlo ammettere pubblicamente tra qualche settimana in cui avremo fatto il culo a Salernitana, Empoli, Inter Juve e Roma e che Garcia si presenti in conferenza stampa dopo questo filotto in monocolo e bocchino a somministrarci un “pigliatoncù” con la sprezzante alterigia che solo l’accento transalpino sa rendere efficace ai limiti della perfezione.

 

Moriremo laggando. L’ultima parola di oggi riguarda l’assassinio del calcio aggravato da crudeltà perfettamente riassunto dal nostro beneodiato presidente e perpetrato impunemente dalla Lega Serie A.

 

LATENZA. L’assegnazione dei diritti TV al binomio Sky/DAZN è veramente uno schiaffo inaccettabile all’unica vera distrazione di massa del nostro paese. La TV sta morendo e l’intrattenimento via web sta evolvendo in maniera troppo veloce per poter fare previsioni sul futuro. Il calcio è, al momento, uno dei pochi capisaldi su cui si riversa quel poco di voglia di evasione che ci viene lasciata mentre ci si massacra qui e là per il mondo. E qual è la mossa che viene scelta per consentire a milioni di italiani di “godere” di questo spettacolo? Ridare in concessione ad un servizio terribilmente scadente la distribuzione di questo enorme circo. Come si faccia a non comprendere che trasmettere gli eventi con 30 secondi di ritardo (la suddetta “latenza”) sia la MORTE del calcio rimane un’incognita. Speriamo che il nostro amatissimo/odiatissimo presidente continui a dare addosso a questa masnada di furfanti fino a rimandarli a casa uno per volta. Più probabile che venga defenestrato lui, ma almeno uno in Italia ci avrà provato a dire le cose come stanno, cosa che dovrebbero comprendere tutti quelli che hanno amato lo striscione dello scudetto capovolto ma che continuano a pensare che quest’uomo sia un approfittatore e non uno che sta cercando di scardinare un sistema traviato

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