Sparisce, riappare e poi urla contro tutti Aurelio De Laurentiis è come la città: non sa essere “normale”
Il ritratto del presidente del Napoli, artefice della rinascita azzurra dalla serie C ai sogni scudetto. A modo suo
Est modus in rebus, tutto qui. Si vive in un’epoca già volgare di suo. E almeno in certi ambiti si vorrebbe una maggiore delicatezza. Anche nelle parole, perché poi è inutile dire: i bambini ci guardano. C’è una vecchia regola che raccomanda: azionare il cervello prima di aprire la bocca.
Ecco, sembra fatta apposta per Aurelio Primo
Presidentissimo e amministratore oculato (e unico). E malato di onnipotenza scurrile: dal “siete delle merde” ai colleghi in Lega allo “strunz” appioppato ad un collaboratore del sindaco accomunato ad una pattuglia di fessi. C’è un’altra cosetta da dire. Che Aurelio Primo è molto vicino – per indole e modo di fare – ai politici che, come si sa e stiamo vedendo in questi giorni, dicono tutto ed il contrario di tutto.
I fatti:
ci si aspettava una maggiore vicinanza alla squadra nel momento topico del campionato. Ha ritenuto di farsi da parte fisicamente. Ma quando ha visto che de Magistris ha impugnato il kalashnikov del rivoluzionario ed ha tuonato contro il Palazzo del calcio e lo Stato, non ha potuto fare a meno di esternare. E l’ha fatto in maniera soft. Senza accanirsi troppo contro la società rivale storica. Poi, c’è stata la contestazione del popolo sanpaolino sintetizzabile in due slogan: “Sarri, uno di noi” e “Presidè, caccia ‘e sorde”. Tutto molto sciatto e ingeneroso.
E quindi
toccato sul vivo e sull’ipotetica tasca, Aurelio Primo s’è rizelato. Ed è esploso: contro il Comune per i lavori allo stadio (una querelle che a mio sommesso avviso vede de Magistris dalla parte della ragione) e contro il Palazzo del calcio che avrebbe contribuito al furto di otto punti. Tutti da verificare, ma ciò comporta conti noiosi e fastidiosi dovendo calcolare in entrata e in uscita.
Detto questo
descritto il personaggio che ama se stesso più di Narciso, non si può non riconoscere ad Aurelio Primo il dono doppio di imprenditore e amministratore di successo. Sarebbe da ciechi, da ottusi non constatarlo. Tralascio la storia vecchia, la società acquistata per un pugno di dollari e ricordo al colto ed all’inclita che la cavalcata del Napoli – dalla serie C in poi – è stata semplicemente fantastica. All’inizio della vicenda, quando mancavano anche i palloni, ma con un pubblico appassionato e caliente che tanto ha contribuito alle sorti della squadra azzurra: con speranza, lacrime, gioie ed incassi. Neanche nell’epoca d’oro maradoniana l’azzurro del Napoli è stato anno dopo anno in prima fila nell’Europa che conta, che porta fama e soldi.
Certo, si gradirebbe un altro passetto in avanti
Per poter programmare nuovi successi, in Italia e in Europa. O meglio: tentare di ottenerli. Acquisire la mentalità dei vincenti che non è certo quella delle scelte. Per chiarirci: punto allo scudetto e quindi giochicchio in tutte le altre manifestazioni. E qui mi trovo d’accordo con Aurelio Primo che spesso ha rimproverato alcune scelte (fisime) di Sarri che, comunque, ha dato alla squadra il volto della bellezza. Riconosciuta in tutta Europa ed anche più in là. Ma non è questo il momento (c’è una inevitabile ricostruzione in arrivo) di guardarsi – presidente ed allenatore – come separati in casa. Si parlino, decidano, programmino. Anche per rispetto di un bene comune: la squadra. Che con poco potrà avere un futuro sempre più radioso. Insomma, c’è un appello da fare, essere “normali” in questa martoriata città, almeno quando si parla di calcio.