Il tracollo della nazionale di Spallettone sa davvero di sentenza definitiva ed inappellabile del processo di disintegrazione della macchina perfetta arrivata a destinazione il 4 maggio del 2023.
L’annata disgraziata del Napoli e la morte civile di Luciano Spalletti come profeta della perfezione applicata al giuoco del calcio, hanno provocato, in modi diversi, un moto di depressione generalizzata e la sensazione apocalittica che mai più si sarebbe potuto ripetere la magia di cui siamo stati testimoni inebetiti ed estasiati. O almeno questo è quello che è successo a tutti coloro che campano di pure emozioni ed hanno il raziocinio di un pollo di batteria. In realtà pochissime cose potevano essere previste con più facilità del tonfo simultaneo di tutti quegli elementi singoli che si erano combinati in un composto prossimo alla perfezione. Il fatto che non ce ne sia stato uno solo che fosse uno, a salvarsi dalla catastrofe (forse giusto Lobotka, vale a dire il prossimo capitano del Napoli, se Conte ha un po’ di visione d’insieme) è sintomatico della prevedibilità dell’evento. Attendersi che quello fosse l’inizio e non la fine di un ciclo, significa mancare di lucidità. Chiedere ad una squadra ed una città non abituate a vincere, di tenere la stessa soglia di attenzione verso nuovi obiettivi dopo l’apoteosi era cosa totalmente priva di senso. Un po’ come chiedere a Rocky, di farsi altre 15 riprese con Ivan Drago dopo l’incontro con Apollo Creed con ancora il microfono davanti alla bocca nel quale stava urlando:
“Adrianaaaaaa…”
“Lassa’a sta’ Adriana… ti spiezzo in due”.
Tra crisi di appagamento, pretese di adeguamento contrattuale, anni sabbatici pezzotti e voglia di monetizzare l’impresa, ci mancava solo la punta di uallera a trasmissione aerea che ha infettato praticamente tutti, per completare il disastro. Cosa che è puntualmente avvenuta.
Fin qui abbiamo parlato del dopo, ma quello che va considerato come ingrediente principale di un “dopo” così nefasto è stato quello che è accaduto “durante”. Quella alchimia creatasi in quel contesto ed in quel momento, che ha innescato il più classico degli overperforming di gruppo. Tutto si è amalgamato alla perfezione e tutti si sono orientati nella direzione del vento, fino al “rompete le righe” liberatorio e stremato, una volta arrivati in porto.
Spalletti era l’ultimo a dover dimostrare questo teorema che ha sigillato la tomba del ciclo perfetto e ci è riuscito in pieno con la sua avventura in nazionale. Se è vero che ha plasmato un Napoli meraviglioso con 23 elementi che sono diventati tutt’uno, lui stesso, senza quel tutt’uno a sua disposizione, è tornato ad essere il simpatico toscano dalle mille imprese mancate. Se non si fosse giocato malissimo la carta dell’anno sabbatico gli si vorrebbe ancora il bene sconfinato e la sempiterna gratitudine di aver dato un enorme contributo alla realizzazione del sogno. Probabilmente gli si augurerebbe di risalire la china per riconquistare il pensionamento su un letto di alloro invece che continuare a rotolarsi su un selciato pieno di merda. Un pensionamento aureo ed inattaccabile di cui avrebbe goduto per sempre se davvero avesse deciso di mollare il calcio alla fine del 2023. Invece ha scelto di restare sul proscenio per qualche altro “anno di pippe” [cit.], senza rendersi conto che apparentarsi ad una federazione morta ormai da oltre dieci anni e senza la minima speranza di resurrezione, sarebbe stato il modo peggiore per chiudere la carriera.
Ora scopriamo che la sua intenzione è quella di continuare ostinatamente e tentare di perseguire obiettivi che non saranno alla portata del suo progetto e delle sue aspirazioni per almeno altri dieci “anni di pippe”, il che ci fa pensare tristemente che ha deciso di morire nel tentativo di ottenere un’ultima erezione, invece di tenersi stretto il ricordo dell’orgasmo esplosivo ottenuto quel 4 maggio di un secolo fa.
Li abbiamo visti cadere tutti, uno alla volta. I calciatori rimasti a Napoli, il calciatore andato via da Napoli. All’appello degli immortali che hanno scelto di morire mancava solo lui… una prece