L’omaggio al grande difensore ex Internapoli morto nei giorni scorsi a Roma
Se ne è andato all’improvviso, accompagnato dall’omaggio scontato e doveroso di tutto il mondo calcistico laziale. Prima la bara esposta nella camera ardente poi un funerale, a Roma, con la partecipazione straordinaria di tanti ex compagni, di giocatori in attività, primo fra tutti, e non a caso, il napoletano di Torre Annunziata Ciro Immobile, e di tanti tifosi e di gente comune. Wilson (nella foto) era amatissimo a Roma, e non poteva essere altrimenti. Non hanno dimenticato le sue prodezze, che assieme a quelle del compagno Giorgio Chinaglia e sotto la guida di Maestrelli permisero alla Lazio, nel lontano 1974, di vincere il primo scudetto della sua storia.
La morte di Wilson, altrettanto giustamente, ha occupato molto spazio sulle pagine dei quotidiani sportivi e non. Oltre che alfiere della Lazio il libero (allora si usava, un jolly difensivo libero da marcature che organizzava tutto il reparto) aveva militato anche nella Nazionale italiana. Insomma un campione dei suoi tempi.
Nel momento del distacco, ancor più doloroso perché improvviso, pochi hanno ricordato però che al di là della sua lunga militanza laziale Pino (Pinotto per gli amici) Wilson era soprattutto un napoletano verace. Figlio di un ufficiale della Nato e di una napoletana, era occasionalmente nato in Inghilterra, nel 1945, ma era ancora in fasce quando la sua famiglia si trasferì a Napoli, in via Ribera, al Vomero. Ultimo piano di un palazzo che si affacciava letteralmente sul vecchio stadio del Vomero, dove Pinotto, dal balcone riusciva a seguire il Napoli mitico di quei tempi, prima di Jeppson e poi di Vinicio. E proprio da allora si concesse alla fede azzurra che non aveva mai tradito, nemmeno al momento di trionfi laziali. A Napoli Wilson ha vissuto tutta la sua infanzia, le scuole elementari e medie, il liceo Sannazzaro e poi Giurisprudenza alla Federico II.
Alternava gli studi al calcio e Carletto De Gaudio, un grande intenditore di talenti, lo scoprì e lo portò all’Internapoli. Di quella squadra che con Seghedoni, Vinicio e Gianni Di Marzio in panchina tentò invano per tre anni consecutivi di approdare alla serie B Wilson divenne ben presto il capitano e il trascinatore, insieme a Giorgione Chinaglia, anche lui inglese di nascita ed anche lui destinato ai maggiori trionfi con la compagine capitolina. Uno dominatore della difesa, l’altro cannoniere irresistibile. Un tandem straordinario.
C’è un altro precedente che pochi ricordano e che lo stesso Wilson ci ricordò un paio di anni fa, quando ci incontrammo a Roma, in un bar di piazza della Repubblica per una “rimpatriata” tra vecchi amici. “Era il 1969 – ricordò – ormai avevo capito che la mia esperienza all’Internapoli era finita, i giornali alla fine del campionato davano per sicuro un mio trasferimento al Napoli. E in realtà c’era stato un interessamento concreto dello staff di Ferlaino che era da poco diventato presidente del Napoli. Un giorno, era piena estate, mi telefonò a casa il presidente Proto, voleva parlarmi. Mi precipitai in sede, ero sicurissimo che mi avrebbe comunicato la cessione al Napoli. E invece con mio grande stupore mi disse che l’allora presidente della Lazio Lenzini aveva preceduto il Napoli e che sarei passato alla Lazio. Debbo ammetterlo, oltre alla sorpresa non mancò una certa delusione. Poi quel trasferimento si dimostrò per me il trampolino di lancio per una lunga carriera piena di successi e mi andò bene ugualmente. Ma inizialmente lo accettai con qualche perplessità, il mio cuore batteva per il Napoli”. Questo era Pinotto Wilson, laziale di adozione, ma napoletano nell’animo.
Lino Zaccaria