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Napoli e la “deriva americana”

Finora esente dagli assalti a sfondo razziale che partono dai ghetti (come avvenuto il 2 giugno nel Milanese)

L’escalation di risse, pestaggi, accoltellamenti, ragazzini che puntano le pistole contro le forze dell’ordine, ha fatto parlare di “deriva americana” a proposito della facilità di procurarsi le armi e con cui si ricorre all’uso delle armi. A ciò s’aggiunge il rischio di violenze e conflitti collegati all’immigrazione, come rilevato da più parti dopo i fatti di Peschiera del Garda: prima la maxirissa, furti e vandalismi di circa duemila immigrati convocatisi via social per il 2 giugno con il motto “l’Africa a Peschiera”; poi, sul treno di rientro verso Milano, molestie e abusi contro ragazze minorenni (“le donne bianche qui non salgono”, aveva detto qualcuno). A Capodanno sempre a Milano decine di donne furono aggredite sessualmente da branchi di immigrati durante i festeggiamenti in piazza Duomo. A febbraio bande di stranieri arrivati dai vicini comuni dormitorio misero a ferro e fuoco il centro elegante di Torino. Il 10 giugno maxirissa a Milano in un ghetto abitato da 156 abusivi (romeni, bosniaci, serbi) e da una decina di italiani; a Milano e a Genova, anche scontri tra stranieri di differenti nazionalità.

Ricordate “West Side Story”, che raccontava della rivalità nell’America di fine anni Cinquanta tra due bande di adolescenti: i portoricani; e i ragazzi bianchi? Il film è del 1961. Dopo tanti anni vi pare che sia stato superato il problema razziale negli Usa?
Finora l’Italia sembrava esente dalle rivolte esplose sin dagli anni Ottanta nei sobborghi di Londra e di Parigi e attribuite dai sociologi al difficile inserimento sociale dei figli di immigrati ed alla presenza dei “ghetti”, delle banlieu, dei “quartieri d’esilio”. Rabbia accumulata da chi vive nelle periferie. Diversamente da Torino e da Milano (dove vari rioni e sobborghi sono un concentrato di irregolari dediti ad attività illecite), a Napoli le presenze straniere sono distribuite un po’ in ogni quartiere e meglio integrate anche grazie allo spirito accogliente dei cittadini, a una certa tolleranza da parte delle istituzioni e al lavoro svolto da associazioni di volontariato. Senza tener conto però dei campi rom abusivi e dei circa 22mila clandestini della vicina enclave di Castelvolturno (che per ora non hanno interesse ad uscire dall’invisibilità). E ad eccezione di piccole aree come il Vasto.
Ecco come si formano spontaneamente i ghetti. Al piano terra di una palazzina senza portiere e senza ascensore arriva un primo gruppetto di immigrati, che hanno abitudini diverse dalle nostre: “bevono”, magari fanno fracasso, spacciano; viavai di connazionali… Gli altri abitanti tremano, al passaggio dei figli. Chi può, lascia e va ad abitare altrove. Gli appartamenti lasciati liberi, svalutati, saranno occupati da altri immigrati. E così via…

Almeno finora, non rivolte e non scontri tra bande “etniche”, semmai incremento dei delitti comuni. Ma il rischio di deriva in Italia c’è, e – anche in vista delle nuove ondate migratorie determinate dalla guerra – il problema andrebbe affrontato. In alcune città europee sono stati avviati significativi interventi di rigenerazione urbana e di recupero sociale. Anche alla base della devianza giovanile, c’è quasi sempre anche un problema di inserimento (che a volte trova risposta nel gruppo). Ma, italiani o stranieri, è possibile inserirsi senza avere opportunità di un lavoro onesto?

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