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I giallorossi rivivono solo a Napoli

Pd e 5 Stelle uniti nel sostenere il candidato sindaco Manfredi. Ma ce la faranno a vincere?

A Napoli si risperimenterà, per il momento caso unico in Italia, la coalizione Pd-5Stelle. Ricordate, è quell’alleanza tra forze assolutamente incompatibili, contro natura, diremmo, che diede vita al cosiddetto Conte2. Gli imprevedibili grillini, reduci da quell’altro assurdo matrimonio di interessi che avevano contratto con la Lega di Salvini, nel giro di una settimana, transitarono da destra a sinistra. Come se niente fosse.
E si vollero talmente bene con gli ex reietti di Bibbiano (ricordate l’anatema di Di Maio?) che quando Renzi staccò la spina a quel governo tentarono in tutti i modi e penosamente di rimetterlo in carreggiata, ricorrendo persino alla fallita questua di improbabili “responsabili”. Sì, era proprio un tentativo di campagna acquisti, una pratica che con la loro furia avevano aspramente contestato al nemico di sempre, Berlusconi (con il quale ora governano felicemente).

Ma ormai, lo si è capito, gli ex duri e puri, quelli del parlamento che doveva essere “aperto come una scatoletta di tonno” sono diventati assertori praticanti del detto “voi non potete fare quello che io però posso fare”. I “traditori venduti” di Berlusconi erano per Conte e Di Maio solo “volenterosi”. Il trionfo dell’ipocrisia. E comunque il connubio alla Rattazzi-Cavour in salsa Conte-Zingaretti doveva diventare, anche in previsione dell’elezione del capo dello Stato e delle elezioni del 2023, l’asse portante della politica italiana. Tale da giustificare il funambolismo dello statista di Pomigliano, il manettaro di Di Maio convertito alla ragione di Stato. Lui e i grillini tutti hanno studiato Tucidide e Guicciardini e capiscono di che cosa stiamo parlando.
Quell’asse invece s’è sgretolato miseramente, fino a spingere Mattarella ad imporre un governo di unità nazionale guidato da Draghi (un altro nemico storico dei pentastellati) e a convincere Zingaretti che era opportuno togliere il disturbo.

Nonostante il fallimento di Conte, Di Maio e il sopraggiunto Letta hanno continuato a predicare la necessità di andare avanti ancora uniti. E quale occasione migliore se non le prossime amministrative di ottobre? Sarebbe stata un’alleanza vincente in tutte le più grandi città italiane. Roba da farsi venire l’acquolina in bocca. E invece nulla o quasi nulla di tutto ciò. A Roma infatti l’eventuale accordo è fallito prima ancora di nascere. La Raggi non aveva alcuna intenzione di fare le valigie, sarebbe stato un delitto, per lei, non poter raccogliere i frutti dei meravigliosi cinque anni trascorsi in Campidoglio. Basta chiedere referenze ai romani per verificare la fondatezza delle sue ribadite aspirazioni. A Milano poi pollice verso per l’uscente Sala, gli hanno persino innalzato contro le loro bandiere ai cortei di protesta. Ma lì, tutto sommato, checché ne pensi il mitico Buffagni, sono numericamente ininfluenti. La partita è a due, tra Sala e il centrodestra. I grillini lumbard contano come il due a briscola. Anche a Torino i 5 Stelle non navigano nell’oro dei consensi. È l’effetto Appendino, una sindaca partita col piede giusto e poi incagliatasi nella palude dell’inesperienza. I sondaggi li danno al 10 per cento e sono così divisi che dovranno ricorrere alle primarie (comunarie, municiparie?) per scegliere il loro candidato. Boccone amaro per Conte che, rifacendosi a De Coubertin, ha già detto che a Torino l’importante non è vincere, ma partecipare. Contento lui.
A questo punto non restava che Napoli per riproporre l’alleanza. Sembrava anche questo un terreno minato perché Roberto Fico, bocciato sonoramente dai napoletani al tempo del primo de Magistris con un misero 1.38 per cento, certo questa volta nutriva, su sua stessa ammissione, concrete ambizioni. Ma qualcuno lo ha convinto della necessità di far prevalere il suo ruolo istituzionale di presidente della Camera (la terza carica dello Stato) e s’è fatto da parte. Salvo a tradire subito dopo il ruolo imparziale scendendo apertamente in campo a favore del candidato scelto dal Pd. Segno evidente che la marcia dei grillini all’interno delle istituzioni, nonostante le giravolte del giustizialista pentito Di Maio, è tutt’altro che conclusa. A Napoli quindi, anche per mancanza di candidati credibili, i 5 Stelle, per la gioia di Conte, sono riusciti nell’impresa di riproporre quell’intesa che avrebbe dovuto salvare l’intero Paese. Tutti assieme appassionatamente, quindi a sostenere Gaetano Manfredi, ex rettore della Federico II ed ex ministro (in verità senza aver lasciato tracce indelebili del suo operato) del Conte2. Compreso De Luca che ha sepolto l’ascia di guerra che aveva sempre brandito contro la capogruppo in consiglio regionale dei 5 Stelle, Valeria Ciarambino, con la quale per sei anni consecutivi si è scambiato una serie pesantissima di insulti. Anche loro si sono piegati alla ragion di Stato ed ora vanno d’amore e d’accordo. Al punto che De Luca ha persino accettato l’elezione della Ciarambino a vicepresidente del consiglio regionale. Roba da non credersi. Conte comunque s’è precipitato a benedire l’accordo e s’è portato dietro Di Maio che proprio convinto non era e che evidentemente ha subito la scelta, avendo dovuto fronteggiare anche la fronda interna dei suoi fedelissimi, a cominciare da quel Brambilla dal cognome milanese e dalle fede iuventina che, illuso, voleva strappare a de Magistris il cadreghino di Palazzo San Giacomo. Che speranze ha questa coalizione di portare a casa il risultato? Indipendentemente dalla figura del serafico Manfredi, che non è certo uno scatenatore di masse oceaniche, in prima battuta la sfida non si presenta agevole. Sia perché il Pd è lacerato e dovrà cedere consensi oltre che a Bassolino, che non ha alcuna intenzione di farsi da parte, e a D’Angelo (un ex assessore di De Magistris), anche a favore della simpatica e giovane Alessandra Clemente, lanciata inclementemente nella mischia dall’inossidabile de Magistris.

Restano poi tanti dubbi sull’effettivo posizionamento dei grillini locali che nel segreto dell’urna potrebbero anche non assecondare il diktat di Conte. Insomma un percorso ad ostacoli. Sul fronte opposto il pm Maresca non ha problemi e dovrebbe finire in testa a tutti al termine del primo round. Si deciderà quindi tutto al ballottaggio. I numeri attuali, se l’accordo dovesse funzionare, premierebbero Manfredi.
Ma il responso dipenderà anche dai successivi apparentamenti degli sconfitti del primo turno (Bassolino, Clemente e D’Angelo) e dai renziani, che per ora non scoprono le loro carte. Certo sarebbe davvero clamoroso se l’accoppiata giallorossa che tanti entusiasmi aveva generato nella sinistra italiana dovesse fallire nell’unica grande città in cui è risorta dalle ceneri del governo Conte. Staremo a vedere.

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