C’è voluta l’inaugurazione della statua di Maradona, in un contesto strabiliante, per suggerire a De Laurentiis un passaggio che si era sempre ostinatamente rifiutato di percorrere: riconoscere che il Napoli è esistito ed ha scritto una storia gloriosa anche prima del suo avvento.
Il presidente si è sempre dimostrato poco incline a riconoscere la storia passata. Forte del cavillo giuridico, inizialmente si era inventato una nuova denominazione per la società, il Napoli soccer. Ma di fronte alle pressioni dell’opinione pubblica e dei tifosi, che non si riconoscevano in quel logo, fu costretto a fare subito marcia indietro. E il Napoli tornò a chiamarsi Napoli. Per quanto perfettamente integrato sin da subito nel nuovo scenario dei diritti televisivi, tanto da essere diventato oggi in Italia il leader assoluto tra i presidenti per conoscenza della materia, capì allora che se si fosse intestardito in quella direzione, cioè cancellare il passato e ripartire da zero, come se niente fosse, anche in termini di riconoscimento degli antichi successi, avrebbe provocato uno scollamento totale con la tifoseria (che comunque ancor oggi non lo ama in toto) che avrebbe generato ripercussioni negative anche dal punto di vista economico (vedi incassi). E a malincuore, lui che è mezzo americano, abbandonò il soccer.
Fatto questo passaggio mai c’era stata una volontà precisa di agganciarsi alla vecchia storia. Una sola eccezione, ospitare Maradona al suo fianco, durante un match con la Roma. Il presidente non era inizialmente troppo convinto, ma quella sera accadde qualcosa che gli fece capire quanto Diego fosse entrato nelle vene, nel sangue dei tifosi e non solo. Allo stadio Maradona arrivò in ritardo, a partita già iniziata. Era il Napoli di Benitez, la partita era aperta. Quando entrò in tribuna, come per incanto, tutto lo stadio, contestualmente lo venne a sapere e scoppiò un lungo coro, un boato, un applauso interminabile. Tremò l’impianto, i giocatori in campo rimasero un attimo perplessi, era come se avesse segnato il Napoli, non capirono subito che cosa fosse successo. Il Napoli, trascinato da Diego in tribuna, stravinse quella partita. In quel momento De Laurentiis dovette capire che il Napoli era esistito prima di lui. E capì anche che Maradona gli avrebbe davvero consentito di raggiungere uno dei suoi grandi obiettivi, esportare nel mondo il nome della squadra e della società. Ma non gli fu possibile andare oltre perché Diego aveva già impegni milionari a Dubai e già allora il suo stato di salute non era dei migliori.
Domenica sera, invece, proprio nel nome di Diego, De Laurentiis ha capito (o qualcuno glielo ha fatto capire) che era l’occasione buona per fare la pace con il passato del Napoli. E così si è piegato alle sollecitazioni dei vecchi campioni dello scudetto e li ha invitati alla cerimonia dell’inaugurazione della statua. C’erano Bruscolotti, Renica, Bagni, Giordano e anche Fabio Cannavaro, che con il Napoli non ha vinto, ma che è legato alla squadra da cui spiccò il volo per la sua straordinaria carriera. Ma soprattutto, in tribuna accanto a lui e ad Infantino, c’era Corrado Ferlaino, il presidente che pur tra polemiche e critiche più o meno con gli stessi anni di presidenza ha conquistato due scudetti, una Coppa Uefa e un paio di Coppe Italia. E’ stato un bel vedere, insomma. Ora forse anche i tifosi cominceranno a credere che il presidente, nel momento in cui ha fatto questo passaggio che non è solo simbolico, veramente abbia a cuore le sorti della squadra e non solo, come loro temono e lo accusano, le sorti del suo portafoglio.