Raccontare la Quattro giornate di Napoli, con una lingua arcaica e modernissima al tempo stesso, per non farle cadere nell’oblio. È questo l’intento di “Il tempo che fu di Scioscia” scritto da Enzo Moscato e messo in scena da Tina e Carmen Femiano, per la regia di Mario Gelardi. Lo spettacolo andrà in scena al teatro Avanposto Numero Zero, via Sedile di porto 55 Napoli, stasera sabato 16 febbraio alle ore 21 e domenica 17 febbraio alle ore 18 nell’ambito della rassegna femminile periodico. Sono storie partenopee di quotidianità, inserite nel quadro della grande storia del ‘900, il cui filo conduttore non è l’emergere di contrasti sociali, economici o politici, ma la necessità di un recupero della memoria storica collettiva. Attraverso questi racconti coloriti e viscerali, non vi è distinzione tra vincitori e vinti, tra eroi e vittime, vi è la sensazione che tutti i protagonisti, che fanno parte della nostra storia, corrano il pericolo d’essere dimenticati e relegati in un passato lontano.
Per dirla con Moscato: «è un piccolo affresco, senza la solita separazione dicotomica, in bianco e nero, delle cose e le persone, con i Napoletani, puri e buoni, da una parte, e i Tedeschi, bruti e bestie, da quell’altra. Con i martiri e gli eroi, da un canto, e i vigliacchi e gli assassini, simmetricamente opposti a quelli». Il tutto nel Tempo che fu di Scioscia: «proverbialmente riferito a una figura, un personaggio antico, di cui tutti sentono dire, sentono parlare, ma che nessuno ha mai conosciuto o visto, concretamente, nella vita».
Il regista Mario Gelardi racconta il suo lavoro teatrale, spiegando: «Abbiamo scelto quattro dei racconti presenti nel libro: Pedamentina, storia di una madre che ripete ossessivamente i gesti che hanno segnato la morte tragica dei propri figli; Bagattelle per un altro malinteso, squarcio amaro e violento sulla tragica morte di una giovane prostituta; Zwdi Taiblék Waise, romantica narrazione su una cantante cieca ed infine Tizzano, l’avventurosa e brillante storia di un giovane in piazza Dante. Nella nostra messa in scena, i ricordi sulla Napoli della seconda guerra mondiale sono accompagnati dall’eco delle romantiche canzonette dell’epoca, che sembravano evocare un mondo irreale. Abbiamo cercato, insieme alle due interpreti dello spettacolo, uno stile asciutto che mettesse soprattutto in luce l’affabulatoria capacità narrativa di Moscato, che ci conduce in un mondo dilaniato dalla guerra, che oggi non ci appare poi così lontano».