di Silvana Lautieri*
Manca uno scatto di dignità, manca la gratificazione e l’orgoglio di poter affermare che ciò che abbiamo realizzato è frutto dell’impegno, della passione, del sacrificio che richiedono tutte le cose necessarie a dare un senso costruttivo alla nostra esperienza terrena. Si vegeta, si cazzeggia, si pretende e si dimentica il flusso fondamentale della reciprocità del dare e dell’avere, dei diritti che non possono essere avulsi dai doveri.
Una società di massa, quella dei nostri tempi, che non rappresenta nulla se non il vuoto “esserci” senza una sostanza che ne legittimi l’esistere. Una massa che stravolge i ritmi diurni e notturni relegando i primi ai molli ozi di giacigli occupati solo alle prime luci dell’alba, ed i secondi ad annegare in fiumi di alcol e forse droga, dei pensieri vuoti di chi, privo di riferimenti accreditati, così intende dimenticare il suo banale esistere. Massa: tutto e niente nella misura in cui ciascuno di noi è un essere irripetibile, simile ma non uguale ad altri da sé. Una società dell’immagine che ci fa dimenticare la possibilità di impiegare le nostre energie nelle terre abbandonate, nelle botteghe artigianali, nel sostegno alle categorie diversamente abili, lavori creativi, lavoro per ripulire strade, tombini, argini di fiumi invasi dalla plastica. Con un atto di buona volontà e di lodevoli possibili iniziative personali che soddisfino la dignità dimenticata e l’ orgoglio dismesso: tutto il nostro habitat è allo stremo dell’incuria.
E, reclamiamo assistenzialismo, dallo stato, dai vecchi che ancora sopportano sulle spalle il peso di responsabilità che andrebbero assunte da quelle fasce più giovani che fanno fatica ad accettare di essere nella maggiore età e che il benessere si conquista poco alla volta non certo per l’attenzione ed il favore di “conoscenze di peso “.
Manca il senso della misura ai nostri tempi, c’è un “troppo di tutto” che storpia e non fa crescere. C’è il disimpegno di buona parte di intellettuali preoccupati a promuovere solo i propri prodotti, non certo a dare un contributo, un indirizzo etico, corretto, a condotte distorte. C’è una borghesia preoccupata solo a tutelare i propri privilegi. E c’è un popolo che si bea delle chiacchiere vuote di reality televisivi che li allontanano di mille miglia dalla consapevolezza necessaria a prendere coscienza di ciò che veramente conta nella vita. E poi c’è una giustizia latitante: nella società dell’immagine latitano anche coloro che, al di sopra delle parti (così dovrebbe essere) si preoccupano solo di essere fedeli accoliti del “gruppo di appartenenza”. Cos’altro aggiungere? Non sono i tempi della cura della res pubblica, né quelli della condivisione degli interessi, ma sono i tempi in cui tutto è strumento per…
L’uomo dunque come mezzo, non certo come fine. Povero Fromm!
*Presidente Centro Studi Erich Fromm