Un altro straordinario ritratto di Napoli è l’oggetto del “classico” di questa settimana, parliamo di Neapocalisse saggio sociologico dal solido impianto narrativo, pubblicato a Napoli nel 1990. L’opera invero risaliva al decennio precedente frutto della sensibilità dell’allora giovane scrittore Jean–Noël Schifano, il quale, non ancora investito dell’incarico di direttore del Grenoble (che avrebbe ottenuto più avanti) era presente in Città, fin dagli anni ‘70, in veste di collaboratore universitario e studioso di letteratura italiana. Libro a tinte forti, ricco di suggestioni visive e di emozioni esperienziali, Neapocalisse è un’opera che resta, a distanza di anni, una perla di rara raffinatezza letteraria e di acuta capacità analitica, in grado, come poche altre opere straniere, di restituire lo spirito autentico e sulfureo della Città. Con la sua speciale sensibilità Schifano riuscì, fin da quella – quasi – prima impresa letteraria, a individuare e cristallizzare nella pagina, gli scorci paesaggistici e i caratteri e della società, sfrondando la foresta di luoghi comuni e di folklorismi che infesta una vasta tradizione francofona (da cui l’autore proviene per nazionalità e formazione) e che ancora obnubila lo sguardo dei moderni che s’interessano di questo connotato angolo d’Europa. Collocata tra le brillanti intuizioni di Pironti, Neapocalisse, il cui titolo originale nell’edizione di Seuil rispondeva semplicemente a Naples, ebbe effetto deflagrante in un tempo in cui l’affermazione dei sentimenti di coscienza identitaria erano da venire. Essa stupì infatti numerosi autorevoli lettori per l’ inusitata rappresentazione di segni e di valori contrassegnati, fino ad allora, dallo stigma del socialmente decadente.
Approcciando dunque la lettura, con levità allora l’opera ci introduce, sguardo straniato, su una sorta di gestazione perenne, un passaggio graduale e non traumatico che ci conduce alla luce inconfondibile di Napoli partendo, nei primi paragrafi, dalle grotte, gli “antri maternali” che partoriscono la vita e custodiscono la morte: «Napoli è fatta così: di grotte, e la grotta è un altro punto di fuoco nell’alchimia del suo corpo […] La Grotta Vecchia è talmente antica che secondo la leggenda fu il poeta Virgilio (il cui sepolcro si suppone sovrasti l’ingresso) a scavarla lui stesso con l’aiuto di ben duemila demoni.» (p.31). E a custodia di questa gestazione è la divinità sincretica, il “Mitra con la mitra”, Gennaro, che anima una folla di ossessi interloquendo con la massa emotiva, la quale accoglie, come cosa attesa e possibile, il segno metafisico, quel Miracolo che si ripete più volte all’anno. Sicché, avverte il Nostro, a chi sia disposto all’ascolto « il punto di fuoco centrale nell’alchimia del corpo di Napoli, Cogliere il suo messaggio luminoso è davvero indispensabile. » (p.34).
Segue all’interiorità sociale e antropica una rappresentazione fiosiognomica del luogo: « Un grande uccello di fuoco in picchiata col becco verso il mare […]»; « Per inerpicarsi fino alla Certosa di San Martino […] basta prendere la funicolare […] Centrale […] a due passi da un insieme monumentale che racchiude secoli di storia della prestigiosa capitale di un regno » (p.45). E poi « Napoli si adagia ai nostri piedi. Appollaiati sull’alto balcone della Certosa di San Martino, siamo come sospesi sopra una foresta di pietre sussurranti » (p.53). E dalla curata descrizione delle facciate di Palazzo Reale, dello sthendaliano Teatro San Carlo, il Nostro passa rapidamente allo stupore per le pietanze, per le leccornie, premettendo che « È arte barocca per lo stomaco, scolpito sotto i tuoi occhi secondo la temperatura, il tuo appetito e il tuo “sfizio” del momento » (p.51).
Non meno intensi i ritratti delle icone, dei personaggi, di un Pulcinella, che allora era forse ancora inspiegato, ancora “maschera”, ma che l’Autore avverte « Puoi incrociarlo non solo nel periodo di Carnevale ». Poiché è già intuitivamente consapevole ch’egli è rappresentazione tragica, in senso propriamente ellenico, raccogliendo in sé le categorie del dionisiaco e dell’apollineo « Povero come un Giobbe – ma quasi sempre pasciuto un Bacco ubriaco ». (p.65).
Superata la metà del testo approdiamo ad uno stadio ulteriore, all’essenza della rappresentazione, in cui Napoli assurge al ruolo di categoria del pensiero « Città iperrealista che sconfina nel sogno ad ogni passo. […] questa Napoli, rigenerata senza tregua, rimane, per antonomasia, la polis, l’unica città italiana di una tale ricchezza storica nel cui cuore fiorisca, malgrado venti, terremoti e mareggiate, una vita lussureggiante che altrove sarebbe proprio inimmaginabile.» (p.77). « Devi convincerti che ti trovi su un palcoscenico e che stai interpretando il ruolo del protagonista davanti a una platea gremita di folla attentissima ai tuoi gesti, scatti d’umore […] questo è il gioco degli scacchi napoletani, praticato dal basso al palazzo […] gioco che smalizia il resto del mondo sclerotizzato dalle sue ferree regole. » (p.79). E con la descrizione dello spirito che anima i sentimenti e le relazioni, l’Autore ci congeda pieni di meraviglia da uno scorcio disvelato che nemmeno noi napoletani avevamo ancora elaborato. Dopo, ma soltanto dopo, venne la stagione degli identitarismi, delle rivendicazioni che, purtroppo, non furono adeguatamente forti quando s’aveva da impedire strappi e furti d’ogni specie, dalla Banca alla sede dell’azienda e dalla Biblioteca storica all’opera d’arte, sicché assume più che mai senso quella chiosa che, allora, poté suscitare qualche perplessità « Tre angeli dello scippo ci incrociano ridendo, aggrappati tutti e tre alla stessa moto da gnomo: che possono “scipparci”, che cosa possono strapparci, se non grida di riconoscenza per i messaggi carpiti alla loro città-uccello che portiamo con noi, come un viatico segreto per il nostro errare terrestre» (p.106).
L’Opera, non più presente nel catalogo dell’editore Pironti, meriterebbe più che mai una nuova vita; la meriterebbe, se non altro, per constatare la visionaria veggenza di questo raffinato scrittore, prodottosi poi in numerose altre attestazioni di amore per Napoli. Pertanto, proprio per restare nello spirito che anima l’Opera, citandolo fino alla fine con l’esilarante passo del paragrafo “Le due Napoli” (p.79), in cui individua un mondo fatto di “furbi e fessi”, suggeriamo, per non essere fatti “fessi” , di accaparrarsi il volumetto di 106 pagine acquistando una delle poche copie disponibili nei negozi on-line.
Oppure, se proprio tra le fila degli svelti non ci riconosciamo, ce lo andiamo a leggere comodamente in biblioteca ribaltando il paradigma, perché li ce lo leggiamo gratis. Neapocalisse, Jean–Noël Schifano, Pironti Editore, 1990.