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Lo cunto de li cunti

Il classico dei classici, bello tra i belli, Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile è, attualmente, il libro napoletano più noto, meritando persino, in tempi recentissimi, una messinscena cinematografica che, in verità, non ha riscosso consensi straordinari, ma che significa  certamente il prestigio dell’Opera.

Lo cunto come molti sapranno è una raccolta di cinquanta fiabe scritte in napoletano, esposte come racconto di dieci narratrici nel corso di cinque giornate. Esso pertanto segue, in modo originale, il modello strutturale del Decamerone dell’altro napoletano di fatto, quale fu il toscano Giovanni Boccaccio. Assimilabile ad una forma favolistica medievale se ne distingue per lo stile fiabesco di matrice popolare. Esso tuttavia nasconde dietro un dichiarato intrattenimento “pe li piccerille” una sottotraccia di significato allegorico che ritrae in forma di iperbole i vizi umani come avarizia, cupidigia, ipocrisia e ingordigia.

La prima narrazione è centrata sulla costruzione dello scenario, ovvero l’ ambientazione in cui avvengono le altre narrazioni. Ivi viene collocata la protagonista della vicenda  che è veicolo delle favole seguenti; si tratta di una “classica” principessa che risponde al nome di Lucrezia, affettivamente soprannominata Zoza. Principessa triste, Zoza impegna un padre disperato nella vana impresa di ridarle il sorriso. Ma quando il sorriso, anzi, una bella risata, ritorna sulla bocca di quella, casualmente suscitata dalla comica caduta di una vecchia, si prende dalla sciagurata  una “bella” iattura che le impone l’impresa di riempire un’anfora di lacrime per sposare un principe addormentato. Quasi al termine dell’ingrata attesa viene ingannata da un’usurpatrice che riesce a farsi sposare dal principe; ma la contromossa di Zoza è quella di lanciare a sua volta un incantesimo che induce l’usurpatrice a desiderare l’intrattenimento delle fiabe. Esse allora vengono proposte da nove  megere che coprono la trama di Zoza la quale, in ultimo, si sostituisce ad una narratrice per raccontare la propria triste storia in presenza del principe. Il principe comprende l’inganno e ripudiando la finta salvatrice con una sbrigativa condanna a morte conferisce il “giusto” ruolo di consorte alla principessa frodata.

Tra le pubblicazioni  de “Lo cunto” che beneficiano di prestigiose curatele vogliamo senz’altro ricordare la bella operazione di Benedetto Croce che, nel 1924 ripropose il testo in italiano, premettendo trattarsi del libro più antico e più artistico di fiabe popolari. La critica recente rileva i limiti della pur eccellente operazione crociana constatando l’epurazione del linguaggio ove al filosofo sembrò volgare, o truculento. La discutibile operazione  va tuttavia contestualizzata in uno scenario accademico storiograficamente avverso al Meridione, che aveva già provveduto a relegare nel limbo della sottocultura la maggior parte delle espressioni artistiche del sud Italia. Certamente più vicina alle corde della sensibilità contemporanea la versione curata da Michele Rak risulta filologicamente più scientifica e puntuale. Attualmente le pubblicazioni dell’Opera sono numerose  e il fatto che essa benefici di edizioni dei maggiori editori italiani, quali Laterza, Adelphi, Eiunaudi, Salerno e Garzanti, rende l’idea della sua attestata fortuna. Vogliamo tuttavia soffermarci proprio sulla recente edizione della Garzanti, inserita nella collana “i grandi libri”, poiché si tratta di quella con l’importantissimo contributo del prof. Rak. Ci soffermiamo però per constatare com’ essa sia ridotta a libro poco leggibile per il formato inadeguato del volume, poiché, consistendo l’opera di un migliaio di pagine, il formato 11 x 18 cm. secondo noi proprio non si confà. Soprattutto esso non rende merito al saggio introduttivo del grande linguista ridotto a carattere davvero minuscolo. Un vero peccato, perché crediamo trattarsi della pubblicazione più curata. Le altre edizioni, infatti, compensano con la qualità dei volumi traduzioni e apparati critici non sempre adeguati.

Al lettore dunque l’ardua sentenza per l’eventuale acquisto: un bel volume dal contenuto non eccelso o il top dell’apparato scientifico con la necessità di prenotare un paio di occhiali nuovi.

 

 

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