Riceviamo e pubblichiamo la lettera della madre di un professionista sanitario a supporto della proposta di legge della dr.ssa De Pilla in materia di mobilità extraregionale, nulla osta definitivo, ricongiungimenti familiari e mobilità per le disabilità.
Alla cortese attenzione del presidente della Repubblica Sergio Mattarella
Al Presidente del Consiglio dei Ministri Dott. Giuseppe Conte
Al Ministro della Sanità Onorevole Roberto Speranza
Buongiorno,
Scrivo a nome di tanti professionisti sanitari e loro familiari esasperati, avviliti e sconfitti, ma non da un virus come si potrebbe pensare in questo 2020, ma da un nemico ancora più insidioso e vile, che appesta l’esistenza di tanti, forse troppi; la burocrazia nascosta in un labirinto di leggi che sembra ostacolare con ogni mezzo il loro ritorno a casa.
I professionisti sanitari del comparto, di fatto, si trovano nella sconcertante impossibilità di poter tornare a casa. Costretti a lavorare a centinaia di chilometri dai propri affetti più stretti, si vedono progressivamente togliere ogni speranza di rientro da leggi e decisioni insensate ed umilianti.
Recentemente la Dr.ssa Rossella De Pilla ha presentato una proposta di legge che noi intendiamo condividere e supportare esprimendo il nostro appoggio. In via ufficiale chiediamo alle istituzioni di accogliere le richieste di incontro, ad oggi ancora purtroppo disattese. La voce della De Pilla non è sola in un coro di tanti di professionisti sanitari che hanno il diritto di tornare a casa. Nel complesso siamo stupiti da come le istituzioni non mostrino alcuna sensibilità in merito a questa problematica sociale, che ha gravi ripercussioni socio-economiche sulla vita di tanti italiani. Basti pensare a quanti
siano impossibilitati a creare una famiglia unita perché costretti a vivere a 600 Km di distanza, ad avere una situazione economica stabile perché obbligati ad avere doppie spese in due città diverse, ed impossibilitati accendere un mutuo per l’acquisto di una casa. Analoga preghiera riteniamo di recitarla nei confronti dei sindacati, verso i quali si esprime si gratitudine per l’impegno profuso in questi mesi in merito ai riconoscimenti salariali per l’emergenza Covid-19, ma ai quali si chiede un maggiore impegno, per consentire un rientro a casa del personale ospedaliero con una trama
diversa dal poema omerico che vivono attualmente.
Nel complesso riteniamo irragionevole che altri ambiti della pubblica amministrazione siano smisuratamente favoriti rispetto al personale sanitario per quanto riguarda il ricongiungimento con i propri cari e la possibilità di tornare in servizio presso le proprie zone natie.
Ci chiediamo come mai come per l’istruzione, ad esempio, esistano graduatorie annuali provinciali per consentire ai docenti di avvicinarsi alle loro case, mentre per i sanitari questo meccanismo non esista e sia tutto legato alle briciole concesse dalle singole amministrazioni. Come mai le forze dell’ordine abbiano il diritto di essere Cit. “trasferite anche in sovrannumero e a tempo indeterminato presso le amministrazioni site nelle sedi di servizio del coniuge”, mentre i sanitari
sono costretti a vivere lontano dai propri coniugi e figli… A rendere ancora più mortificante questo resoconto normativo è utile ricordare come per la legge italiana i nostri figli acquisiscano un valore ai fini dell’avvicinamento familiare (L’art. 42 bis del D.Lgs. 26 marzo 2001, n.151) soltanto fino al compimento dei tre anni di vita, dopodiché per la normativa vigente decade ogni presupposto per il ricongiungimento, costringendoci a separarci da loro neanche fossero yogurt scaduti…
Come scritto dalla De Pilla in sanità l’unica speranza era affidata alla mobilità volontaria, ma anche quella flebile lanterna in fondo al tunnel è stata recentemente spenta art. 3 comma 8 dal “Decreto Concretezza” dello scorso luglio 2019, dando di fatto la possibilità alle aziende di non bandire mai procedure di mobilità volontaria, precedentemente obbligatorie dal testo unico sul pubblico impiego D.lg. 165 del 30 marzo 2001.
A condire questa ricetta disgustosa contribuisce come ingrediente speciale l’assurdità creata dall’Art. 3 comma 61 della Legge 350/2003. Tale legge prevede la possibilità per un professionista dipendente a tempo determinato di una determinata azienda sanitaria del Ssn, di poter essere stabilizzato presso la stessa nel momento in cui si viene chiamati all’assunzione a tempo indeterminato dalla graduatoria di una diversa azienda del Ssn. L’illogicità non viene dalla legge in
sé, che anche noi giudichiamo tutto sommato razionale, ma dal paradosso che si crea per una mera questione temporale dove la migliore spiegazione si palesa da un semplice esempio con nomi di fantasia.
Mario e Giacomo sono entrambi fisioterapisti, entrambi Romani, entrambi posizionati in graduatoria dell’azienda sanitaria di Verona, Mario al primo posto e Giacomo al trecentesimo. Se ne desume per logica che Mario sia stato più bravo di Giacomo, posizionandosi in prima posizione tanto da essere assunto dall’azienda di Verona, Giacomo
invece no perché in posizione non utile.
Dopo due anni sia Mario che Giacomo vengono chiamati nello stesso giorno a tempo determinato per 1 anno dal Policlinico Umberto I di Roma. Entrambi accettano e vengono assunti.
I due si ritrovano quindi entrambi a tempo determinato a Roma. In un successivo momento l’azienda di Verona scorre la graduatoria a tempo indeterminato ed arriva a chiamare Giacomo. Egli prontamente chiederà di essere assunto a tempo indeterminato non a Mantova, bensì presso l’Umberto I di Roma usufruendo dell’Art. 3 comma 61 della Legge
350/2003.
Il risultato finale sarà che Giacomo, posizionato più in basso rispetto a Mario in graduatoria a Verona, si ritroverà a tempo indeterminato a Roma. Mario, assurdamente, viene punito dalla legislazione italiana per il fatto di essere stato più bravo di Giacomo ed essersi posizionato in prima posizione di merito, tanto che non può chiedere di essere stabilizzato perché la chiamata a tempo indeterminato è antecedente quella a tempo determinato. Sarà infine costretto a tornare a Verona
lontano da casa al termine del contratto determinato.
Il paradosso sta nel fatto che il merito viene letteralmente sovrastato da una mera diversa successione temporale degli eventi. Se Giacomo fosse stato chiamato da Verona a tempo indeterminato prima di essere stato chiamato da Roma a tempo determinato (come accaduto a Mario) non avrebbe potuto essere stabilizzato. Essendo questo invece accaduto successivamente ha potuto richiedere la stabilizzazione.
Per tali motivi, a supporto della proposta di legge De Pilla, chiediamo che venga accettato un incontro ufficiale, e di modificare la normativa attuale per permettere al personale sanitario già in possesso di un contratto a tempo indeterminato, e che chiede l’aspettativa per eventuale chiamata a tempo determinato presso altra azienda, di chiedere in via prioritaria la stabilizzazione, in quanto la chiamata e la sottoscrizione di un contratto a tempo indeterminato sono già accorsi, senza che questa eventualità sia legata ad una successione degli eventi del tutto fortuita. Vogliamo che nessun
genitore venga separato dai propri affetti.
Con l’auspicio di un riscontro positivo a nome dei tanti infermieri, tecnici sanitari, e professionisti sanitari colgo l’occasione per porgere cordiali saluti.
La madre di un professionista sanitario che vuole solo vedere il proprio nipote nato da poco abbracciare il padre costretto ad un esilio forzoso.
Roma 02/06/2020
Capirchio Maria