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La paura del Covid sconfigge Halloween. Via alla commemorazione dei defunti: il dark napoletano contro la macabra festa celtica

Coronavirus “scaccia” Halloween. La festa di origine celtica diventata una grossa kermesse commerciale (da 300 milioni di euro all’anno soltanto in Italia)  arretra in questa fase di emergenza per la pandemia e ne esce fortemente ridimensionata. Anche se i negozi da settimane sono pieni di scheletri  (e altri oggetti tipici del carnevale d’inverno)  e attraverso Internet si pubblicizzano giochi del terrore (con in vendita  maschere dalle fattezze del virus  guarda caso prodotte in Cina),  è sconsigliato ai bambini andare in giro chiedendo “dolcetto o scherzetto”-  e di feste nei locali, ovviamente,  neanche a pensarci…

Una festa del brutto e del macabro (in linea con tanti programmi tv mandati in onda anche nelle fasce orarie dei bambini) che si contrappone  al “rassicurante” culto dei morti dei napoletani,  che anche quest’anno, nonostante mille difficoltà, tenteranno di andare a onorare i propri  defunti al cimitero (il Comune  ha predisposto  misure affinché ciò sia possibile).  Come tutte le grandi feste, entrambe  legate all’avvicendarsi delle stagioni: in questo caso la fine dell’estate e l’entrata nel sonno dell’inverno.

Dall’orrore di Halloween, dunque,  alle rasserenanti tradizioni partenopee, dove  il rapporto con i propri cari continua anche dopo l’ultimo respiro. I morti qui aleggiano nell’aria,  nel pensiero di chi li ha amati; spiriti con cui dialogare; figure che ci seguono, che ci consigliano, che ci proteggono (come i “lari” dell’antica Roma).  Secondo una credenza popolare, liberi di spaziare tra il cielo e la terra nella notte tra l’1 e il 2 novembre tanto è vero che in alcune regioni del Sud  si usa lasciare un posto a tavola… Cibo tipico: il torrone, a forma di bara. La parte dura simboleggia l’amarezza nel perdere una persona cara,  quella morbida l’amore e i ricordi belli che custodiamo.

Tra le testimonianze del particolare legame dei napoletani con l’aldilà,  il Cimitero delle Fontanelle e la chiesa del Purgatorio ad Arco (si adottava un teschio nella convinzione che aiutando le anime a liberarsi degli ultimi pesi terreni se ne ricevesse in cambio protezione).

Il ciclo della vita che continua. Qualcosa  con cui tutti dovremo fare i conti,  come dice “ ‘A livella ” di Totò.

Negli ultimi decenni  la morte è diventata quasi un tabù, rincorrendo il mito dell’eterna (immaturità e) giovinezza. Quanto è  accaduto quest’anno,  con migliaia di persone che non hanno potuto salutare i propri cari e l’immagine delle sfilate di bare a Bergamo, forse ci porta a riscoprire l’importanza di certi riti. Come quello di accompagnare i propri cari nella fase finale della vita,  che è un “passaggio”  personale ma  anche un atto che rafforza lo spirito di  comunità. Un rituale, quello funebre,  che serve per elaborare il dolore e accettare il distacco; che colloca la perdita  all’interno di un ordine naturale sociale,  ma rassicura simbolicamente anche l’intera comunità sulla sua possibilità di sopravvivenza. E c’è anche un dark napoletano, mediterraneo, che non è fatto di orrore e di macabro.

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