
L’icona che ha conquistato intere generazioni con le sue magie in campo ma anche con la sua umanità
di Pierluigi Zaccaria
25 Novembre 2020. Una data che argentini, napoletani ma, a dire la verità, tutti gli sportivi avranno impressa nella loro mente a lungo.
Un po’ come accade durante ogni commemorazione degli attacchi alle Torri Gemelle, quando si narra che ciascuno di noi ricordi con perizia cosa stesse facendo durante quei momenti terribili, lo stesso avverrà in futuro quando ci chiederemo dove e con chi fossimo e di che attività ci stessimo occupando nell’attimo esatto in cui ci diedero la notizia della scomparsa di Diego Armando Maradona.
Personalmente ero ancora a casa, lavorando e approfittando della opportunità di svolgere le mie attività da remoto in questi tempi bui segnati dal Covid. Letta la notizia, ho sperato fino all’ultimo, in contatto con mio padre, che si trattasse di una bufala, fin quando non ho disgrataziamente ricevuto ulteriori conferme. La prima reazione è stata di totale smarrimento, per poi tuffarmi in un breve ma sincero pianto a dirotto. Non credevo di poter piangere per una persona senza averla mai conosciuta, ma la profondità con cui Diego ha condizionato la vita mia e quella di tantissime altre persone è tale da considerarlo alla stregua di un familiare o di un amico stretto. Faccio parte della generazione nata alla fine degli anni ‘80, quella un po’ più sfortunata calcisticamente parlando. Eravamo troppo giovani per ricordare le sue gesta con nitidezza e, ahinoi, ci affacciavamo su questo sport quando le cose iniziavano a mettersi male. Serie B, fallimenti, serie C, fino alla boccata d’ossigeno degli ultimi anni.
Per le persone della mia età Maradona era tuttalpiù un’idea, un ricordo incancellabile negli occhi di chi l’aveva vissuto, un’icona che, imperturbabile, tappezzava i muri dei vicoli. Ed era il protagonista assoluto dei nostri pomeriggi, trascorsi a contemplare i 4 storici VHS de “Il Mattino”, oggi reliquie senza prezzo che tramanderemo ai nostri posteri.
Ma forse è stato proprio il non poterlo toccare, ma solo sfiorare, come un desiderio impossibile sfuggito per una manciata di secondi, ad avercelo reso ancora più divino. Lo abbiamo amato e venerato, con il sogno di poter scattare, un giorno, una foto assieme a lui.
Erano gli anni ‘90, periodo in cui molti giovani sfoggiavano poster e magliette di Baggio, Ronaldo, Del Piero e Totti, mentre noi giovani tifosi del Napoli, non avendo alcun mito recente a cui appellarci, visti i tempi cupi, dovevamo necessariamente volgere il nostro sguardo ancora puerile ad un passato mai vissuto.
Ma era comunque bello utilizzare Maradona come termine di paragone. “Ma chi sì, Maradona?!” quando, giocando per strada, ci complimentavamo con chi aveva fatto una magia col pallone tra i piedi.
Diego ha fatto, fa e farà parte della nostra vita, emblema e marchio, metafora e allegoria.
Tutto ciò, e molto altro, è per me Maradona. Una leggenda che, come il vento, soffia e soffierà dolcemente sui ricordi di ognuno di noi.
La sua storia, così umana e a tratti insostenibile, non poteva che compiersi, nella sua vera essenza, nella nostra geniale ed imperfetta città.
Ciao Diego.