Una frana. Il presidente del Napoli Aurelio De Laurentiis passa per un grade comunicatore. Ma in questi ultimi giorni, vittima del suo stesso narcisismo, l’ha fatta veramente grossa. Ha inanellato una serie di dichiarazioni che oltre a portare scompiglio nel mondo del calcio hanno suscitato scalpore e lo hanno esposto a commenti non tutti proprio teneri nei suoi confronti.
Ricostruire le gesta verbali del presidente non è semplice. Ha detto tutto e di più. Proviamoci comunque.
Tanto per cominciare è andato a scavare dal “cascione” dei ricordi la figura del cavallo e intende sostituirla a quella del “ciuccio”, da sempre simbolo del Napoli. Nessuno mette in dubbio che il cavallo offrirebbe un’immagine più nobile rispetto a quella dell’asino. Ma si dà il caso che milioni e milioni di tifosi che si sono alternati in quasi cento anni di storia si sono ormai abituati all’idea che in fondo il ciucciariello porta anche bene e non riescono a mandar giù l’idea che debba far spazio al cavallo rampante, peraltro in un momento storico in cui quella stessa effigie non sembra portare particolare fortuna alla Ferrari, che l’ha nel suo dna. I tifosi, tutti i tifosi, non solo quelli del Napoli, hanno un loro credo fatto di rituali, di tradizioni condite anche da un po’ di scaramanzia e certi strappi difficilmente riescono ad assorbirli. A De Laurentiis non perdonano quel suo voler oscurare la storia della squadra precedente al suo avvento. E proprio ora che sembrava aver compiuto un passo verso la “riappacificazione” con il passato (statua di Maradona, Ferlaino seduto al suo fianco in tribuna) eccolo che scompagina tutto e se ne esce con una proposta fuori dai canoni, della cui necessità proprio non si riesce a capire il motivo.
Ma se la “mossa del cavallo” può apparire singolare, ancor più stravagante appare la proposta di rivoluzionare modi e tempi di gioco delle partite. Non più due tempi di 45 minuti l’uno, ma un solo tempo di ’60, con cambi dalla panchina senza limiti. E match preceduti da incontri di calcio femminile. Una boiata. Primo perché ripropone l’idea riduttiva della donna in genere, vista come protagonista di uno spettacolo da “aperitivo” rispetto a quello principale. Servirebbe solo a tener desta l’attenzione degli spettatori in attesa della partita vera.
Tutti ricorderanno che sulla scorta di un’abitudine tutta americana, peraltro che lì va scomparendo, quando apparve sulla scena del Napoli De Laurentiis si inventò l’avanspettacolo delle marjoettes. Prosperose giovincelle multicolorate che non si capisce a che titolo prima dell’ingresso in campo delle squadre comparivano sul terreno di gioco e sventolavano bandiere. Uno spettacolo inutile e poco gradito che è fortunatamente finito per naturale autoesaurimento.
Ma l’aspetto più sconcertante di questa uscita delaurentiana è l’idea che le partite debbano durare solo un’ora e con cambi dalla panchina inesauribili. De Laurentiis passa anche per un visionario, per uno che riesce a vedere lontano. Ma questa volta, credeteci, il suo sguardo pare rivolto all’indietro, non ha sbocchi realistici, snaturerebbe il significato stesso della partita e una sarabanda di cambi finirebbe solo per confondere le idee agli allenatori. Spettacolo certo, ma riflesso agonistico e sportivo pari a zero. Solo una gran confusione. Una proposta sconclusionata, insomma che, al di là dei sorrisetti con i quali è stata accolta, difficilmente farà strada.
Che dire poi dell’avventata dichiarazione sui meriti di Spalletti? “È il migliore allenatore che io abbia mai avuto!”. Benissimo. Il giorno dopo Spalletti perde in casa con l’Empoli (e ci può pure stare un infortunio nell’arco di un campionato). Ma non ne ingarra una. Presenta in campo una formazione sbrindellata con Ounas rifinitore ed Elmas esterno. Un suicidio tattico. Entrambi pesci fuori d’acqua. Bastava scambiarli di posizione e forse già nel primo tempo la squadra sarebbe apparsa meno timida ed impacciata. Per non parlare dei cambi, che per quanto obbligati dagli infortuni, non sono sempre apparsi, e non solo contro l’Empoli, frutto di idee particolarmente geniali. Per carità qui non vogliamo esprimere giudizi tranchant sul tecnico, Spalletti ha milioni di scusanti, non s’era mai vista una serie di infortuni così lunga e così in contemporanea gravare su una sola squadra. Ma certo l’imprimatur del presidente non gli ha giovato.
E come commentare il niet alla figlia di Maradona? De Laurentiis, a dire il vero, non ne ha parlato ufficialmente. Ma fatto sta che la povera Dalma per girare il suo documentario sui luoghi e nello stadio che videro il padre protagonista, di fronte al diniego del Napoli, è dovuta ricorrere al Comune, proprietario dell’impianto, e accontentarsi di riprese parziali, dalla pista di atletica all’antistadio, senza poter accedere agli spogliatoi e alla statua del padre. Certo De Laurentiis bada agli affari suoi, ha preannunziato una serie sul Napoli nella quale un capitolo sarà dedicato a Diego. Ma che motivo c’era di impedire a Dalma di completare il suo lavoro? Forse che potesse crearsi una concorrenza? E quand’anche si può mai immaginare che sarebbero venuti meno alle sue casse proventi pubblicitari e da sponsor sol perché dall’Argentina la figlia del campione scomparso era venuta qui a produrre un altro docufilm? Maradona è un fenomeno planetario, è ormai consegnato alla storia e non solo del calcio. Sorrentino docet. Non si comprenderebbero, altrimenti, le migliaia di tifosi osannanti, la sera in cui si scopre la statua allo stadio, la maggior parte dei quali nel 1990, quando Diego lasciò Napoli, non erano ancora nati. Se si girassero cento film su di lui avrebbero tutti successo. Dire no a Dalma non ha alcun senso logico. Che scivolone, don Aurelio!