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Napoli e l’ecologia del sorriso

Da queste parti passiamo giornate e versiamo fiumi di sillabe per smarcarci dagli stereotipi che riguardano Napoli e i napoletani, ma ci sono taluni aspetti tipici del carattere partenopeo che dobbiamo ammettere essere dati di fatto incontrovertibili. Per chi nasce a queste latitudini sorridere, più che un obbligo, è un tratto genetico. Ovviamente non si può sorridere di tutto, ma il fatto che come popolo si sia così tanto abituati a vivere i problemi (e ‘uaje) come parte integrante della quotidianità, rende la capacità di vedere in quel poco di bello che accade in giro, tra una rottura di palle e l’altra, come l’unica vera medicina a basso costo per neutralizzare il malumore. Probabilmente è per questo che il tifo napoletano viene considerato urbi et orbi come qualcosa di radicalmente diverso dal tifo altrui (a margine: le affinità elettive tra napoletani ed argentini sono così evidenti da essere diventate un archetipo gli stessi motivi, ma questo è un discorso a parte).

Il sorriso dunque è qualcosa di irrinunciabile.

Il solito pippotto introduttivo è propedeutico alle considerazioni sull’argomento che ci riguarda in queste pagine. Ho detestato e trovato terrificanti i fischi dello stadio destinati a Lorenzo Lucca. I fischi sono una componente dello spettacolo: la più sintetica, antipatica e sgradevole ma necessaria forma di critica nei confronti di chi offre prestazioni mediocri. Con questa premessa, i fischi sarebbero immeritati perché il calciatore, pur non brillando per prestazioni e realizzazioni, ha una attenuante bella corposa che è data dalla poca considerazione e dallo scarso utilizzo. Ma di poca considerazione e di scarso utilizzo avrebbero di che recriminare anche altri calciatori che invece, nonostante avessero già dato segnali clamorosi di grandissime qualità, hanno accettato la panchina con sofferenza composta, pronti a sfruttare al meglio il “mo’ te faccio veré io che saccio fa’” (libera traduzione dal brasiliano). Le prestazioni mediocri quindi sono perdonabili, soprattutto se ti devi portare in giro un conglomerato di cento e passa chili distribuiti su oltre 200 centimetri. Questo i napoletani lo sanno benissimo e quei fischi non avrebbero mai sfiatato i loro polmoni se non ci fosse stato un dettaglio che è veramente, ma veramente imperdonabile:

Lorenzo Lucca non sorride mai.

Non sappiamo se è perché gli piace l’allure del bel tenebroso o se semplicemente perché ritiene di essere bistrattato per qualche motivo. Certo, passare da secondo di Lukaku a secondo di Hojlund senza che neanche per un secondo si pensasse ad utilizzare lui come primo, poteva essere destabilizzante per chiunque. Ma il Napoli ormai deve essere considerato per uno come lui, un posto dove lavorare per un definitivo salto di qualità. Mai, neanche per un attimo, un calciatore col suo curriculum modesto, può pensare che una squadra come il Napoli stesse aspettando lui come nuovo messia. Il suo sguardo perennemente truce è il peggior nemico della popolarità in un posto come questo. E se ieri invece di dare il solito, sacrosanto bacetto alla fidanzata dopo il gol avesse spalancato le gengive, forse quei fischi non sarebbero mai arrivati.

Perché a Napoli sorridere è un fatto ecologico. Depura l’aria dal “tossico” e rende la vita degna di essere vissuta, qualsiasi siano ‘e ‘uaje che hai passato.