L’analisi. La squadra di Ancelotti lotta e non molla mai. Ora, però, serve il salto di qualità
Come un pugile che lavora ai fianchi l’avversario meno dotato, aspettando il momento giusto per sferrargli il colpo del KO, il Napoli ha vinto a Cagliari contro una squadra mai doma ed in grado, soprattutto nel primo tempo, di tener botta contro l’ennesima formazione mandata in campo da Ancelotti. E la sorpresa di ieri è stata proprio la squadra schierata da Ancelotti: fuori Insigne, Mertens, Hamsik, Callejon, Albiol e Mario Rui e dentro Ounas, Milik, Diawara, Zielinski, Malcuit e Ghoulam. Certamente De Laurentiis non potrà proprio lamentarsi del turnover ampiamente sfruttato dal suo allenatore… Questa volta, però, e spero di non sbagliarmi, avverto sensazioni positive e unità d’intenti tra presidente e allenatore.
Dopo Liverpool nessuno che abbia criticato l’atteggiamento della squadra o abbia esternato per il poco sfruttamento della rosa a disposizione (ricordate il dopo Real a Madrid?). Rammarico, sicuramente, per un’occasione persa, ma Ancelotti, da par suo, ce l’ha messa lui la “ciliegina” sulla torta in sede di commento dichiarando con grande onestà intellettuale: “Sono soddisfatto del comportamento dei ragazzi perché hanno dato tutto. Perché sono anche convinto che loro (il Liverpool, ndr) se avesse ro avuto bisogno del secondo gol ce lo avrebbero fatto”. Stop. E Chapeau ad Ancelotti. Chi ha orecchie per intendere intenda, capisca e traduca praticamente il senso delle parole del tecnico. Non c’era né afflizione né rabbia in Ancelotti. Appena un accenno a quel “pizzico di fortuna” mancata che avrebbe potuto favorire non solo l’impresa ad Anfield Road ma, molto di più, il passaggio del girone che avrebbe avuto del miracoloso o quasi.
Ancelotti, da uomo di calcio con mille battaglie vinte o perse, ha analizzato a caldo, con grande lucidità, e vi garantisco non è da tutti, il reale valore e potenziale di questo Napoli. Una squadra che ha limiti non solo caratteriali, tipici della squadra che ha tanti buoni giocatori ma manca di un leader in campo per personalità e carisma. Ha capito, Ancelotti, ma soprattutto ha fatto capire che questa squadra, per quanto forte e solida anche come gruppo, è ancora lontana dalla forza, dalla qualità, fisica e mentale, dei più forti club europei, come Liverpool ha dimostrato. La “rivoluzione” di Cagliari ha dimostrato una volta di più, se mai ce ne fosse bisogno, che il tecnico ha ormai piena conoscenza delle qualità dei singoli e del gruppo e che più di tanto non si può ottenere se si vuol pensare ad un grande Napoli europeo. Signori, il dibattito è aperto. Anzi, mi spiego meglio: ci sarà un discorso franco e costruttivo tra Ancelotti e De Laurentiis a fine girone d’andata, nella immediata prossimità del mercato di gennaio, o accadrà ciò che è già successo prima con Benitez e poi con Sarri?
Ecco, il riferimento a quelle positive sensazioni personali di cui sopra, nasce dal fatto che Ancelotti s’è dimostrato aziendalista assoluto. Perché ora è di evidenza lapalissiana che non è certo un caso se il Napoli, per la seconda volta in poche stagioni, ha fallito il passaggio agli ottavi di Champions per un gol in meno segnato o una differenza reti sfavorevole. In quel gol, in più o in meno, c’è la storia del Napoli, del bel Napoli di questi ultimi anni. Una squadra che gioca bene, diverte, emoziona, ma alla quale manca, non per colpe sue, la forza di compiere l’ultimo step, il più difficile ma anche il più costoso. Ma anche quello decisivo per fatturare e incassare i milioni di euro dei diritti Champions, di quelli televisivi internazionali e di sponsorizzazioni milionarie in doppia cifra. De Laurentiis, da uomo di spettacolo e da imprenditore di successo ma oculato, non può non riconoscere che Ancelotti c’ha messo e dato tutto in questa Champions, ha valorizzato una rosa ampia ma i cui valori se vanno bene in Italia non possono realizzare “imprese” in Europa. Non è più, a mio sommesso avviso, solo questione di soldi, ma anche di volontà di creare in concreto, da parte di DeLa, un Napoli, società e squadra, di dimensione europea. Carlo Ancelotti, come hanno dimostrato anche i tre punti e le scelte di Cagliari, sia in campionato che in Champions ha sbagliato zero o quasi, ottenendo il massimo dal gruppo, moti vato e sempre sul pezzo. Farà lo stesso in Europa League e in Coppa Italia, ma solo il presidente potrà aiutarlo a realizzare quel progetto biennale per vincere in Italia e andare al massimo nell’Europa che conta.
E sono convinto, a differenza del passato, che questa volta il Presidente-padrone ascolterà il suo allenatore. Perché dopo Liverpool e la vittoria di Cagliari c’è una lezione soprattutto per lui: deve capire che facendo solo di testa sua non diventerà mai grande né ricco. È stato bravo, a differenza di un Pallotta che ormai guida senza amore la Roma come un’azienda anonima e fastidiosa e i risultati sono sotto gli occhi di tutti, a non vendere i suoi migliori giocatori, ma deve diventare bravissimo nel compiere l’ultimo sforzo. La fortuna, che s’è procurata da solo, è di avere un tecnico come Ancelotti, grande allenatore e a suo modo ottimo manager, ma soprattutto uomo di esperienza e onestà intellettuale che deve dimostrare niente a nessuno. Sono certo che Ancelotti riuscirà nell’impresa in cui altri hanno fallito, pensando in primis al loro futuro: fare del Napoli una potenza. Questione di feeling. Ancelotti come la grande Mina per un Napoli da hit internazionale.