Il racconto più o meno diffuso in queste ore è quello di una squadra che ha rialzato la testa. Due vittorie piuttosto convincenti sono state sufficienti, per chi è di bocca buona, a sopire lo sconforto che aveva preso quelle stesse persone dopo un mese di risultati scadenti. Nella bulimia del racconto figlio di chi la spara più grossa e chi innesca la polemica più originale, oggi dare per morto qualcuno che non è né morto, né quasi morto, è l’unico modo per attirare l’attenzione. Così come parlare di resurrezione è il contraltare per definire qualcuno che ha fatto il minimo sindacale per dimostrare le proprie capacità.
Ovviamente le battute d’arresto in sequenza erano figlie di genitori abbastanza riconoscibili, una preparazione atletica che necessita di riflessioni profonde nel metodo (le statistiche mentono molto meno delle obiezioni tecniche di chi tecnico non è) ed un allenatore che punta tutto sull’essere campione mondiale di psicologia della motivazione con la banale conseguenza che se si affievolisce anche leggermente la sua carica motivazionale, trasmette immediatamente ai suoi “discepoli” la sensazione di palloncino loffio.
Forse è proprio per questo che tendenzialmente si definisce il secondo anno di Antonio Conte nelle squadre che allena, un anno difficile.
La percezione precisa del senso di queste difficoltà, appare abbastanza evidente guardando il film della stagione magica e fortunata dello scorso anno “Ag4in”. I discorsi motivazionali pre-partita e di alleggerimento post-partita dello scorso anno danno un senso piuttosto preciso della abilità di Conte di caricare a pallettoni i suoi uomini e di tenerli sul pezzo nella buona e nella cattiva sorte. Non certo delle dissertazioni di retorica sublime ma discorsi semplici, anche piuttosto ripetitivi, ma espressi in un linguaggio e con una mimica tali da ipnotizzare i calciatori. Grazie a questa abilità indiscutibile, il nostro, rende alla perfezione il racconto di essere il migliore al mondo a prendere squadre col morale sotto i piedi e a tirarne fuori il potenziale al massimo. Ma le squadre che ha portato a trionfi anche inattesi, il potenziale lo avevano di base. Insomma non è uno che frigge il pesce con l’acqua di pozzanghera come Gasperini o Sarri, ma è uno che all’opposto di questi due appena citati, sa valorizzare al meglio squadre con un grande poteziale di fuoco. Basti pensare a quello che i primi due hanno fatto rispettivamente con Atalanta e ora Roma e col Napoli e quello che non sono riusciti a fare con Inter e Juve e confrontarlo con quello che Conte ha fatto con la Juve nel 2011, il Chelsea nel 2016, l’Inter nel 2019 e il Tottenham più recentemente, col quale ha centrato la qualificazione in Champions da subentrato con una squadra rilevata quando era al nono posto.
Volendo azzardare una ipotesi, quando si chiede troppo ai calciatori dal punto di vista fisico, questi ti seguono finché la carrucola tira. Diventa pericolosissimo se invece le cose prendono una china calante, ma soprattutto è complicatissimo tenere la corda tesa al massimo per più di un ciclo. La sensazione che ottieni quando hai portato a casa il trionfo da parte dei calciatori è quella di aver raggiunto il punto più alto, cosa che aveva capito perfettamente quell’immenso paraculo di Spalletti, che è scappato a gambe levate appena arrivato in cima.
Il tweet del presidente dopo la vittoria con l’Atalanta ha spiegato in dieci parole e meglio di qualunque dibattito fiume sulla presunta crisi, non tanto il fatto che Conte si fosse “ripresa” la squadra, quanto il fatto che se la stesse perdendo. Come al solito dipende tutto dal tecnico. La rosa che gli è stata messa a disposizione può reggere perfino l’urto di una stagione da record mondiale di infortuni muscolari, quello che non può reggere è se si aggiunge, alla sensazione di non sapere se usciranno con le proprie gambe dal campo, quella di non avere più a disposizione un taumaturgo ma un alchimista da fiera.
